recensione di Mauro Giori
Geography Club
Quando studiavo all’università, quello di geografia era forse l’esame obbligatorio più famigerato, non certo per la sua difficoltà, ma perché minacciava una vita di frustrazioni a chi, pur nutrendo aspirazioni di carriera, già si prefigurava di dover passare il resto dei suoi giorni a puntare una bacchetta di legno su qualche mappa scolorita e datata, di quelle che ammorbano gli studenti sin dalle elementari. È più o meno lo stesso motivo per cui i liceali del film chiamano “club di geografia” il loro improvvisato gruppo di autoaiuto gay e lesbico: perché sono certi che nessuno verrà a curiosare.
Tranne il protagonista: che fosse davvero sedotto dalla geografia? Il film non si sofferma su questo dettaglio appassionante e pensa invece a raccontare la classica fiaba adolescenziale del (piacente) anatroccolo che starnazza sulla lunga e impervia via della dignità fino alla piena conquista dell’orgoglio di sé. Lasciando ovviamente per strada il cigno biondo che invece vuole rimanere velato e non vuole abbandonare i suoi sogni di “normalità” (parole sue). È più o meno quello che succede in tutti i film a morale di ambientazione liceale, e nel 90% delle fiabe gay, da Maurice in avanti.
Qui purtroppo non vi è nulla che segni in modo personale quello che rimane solo un brodino riscaldato, confezionato senza croci e senza delizie, sulla base di personaggi fortemente tipizzati: il giocatore di football che morirà velato; il cesso sfigato che però ha un’anima grande così; il bisessuale che in realtà è gay; lo scorfano grassottello che punta alla bionda della classe; la bionda della classe che finge interesse per il grassottello ma in realtà punta al protagonista; l'altra bionda popputa che alla fine si innamora davvero del grassottello; ecc. Tutto scorre di conseguenza in modo prevedibile dall’inizio alla fine, seguendo le solite tappe e senza scosse eccessive: l'omofobia si traduce solo nella sostanziale cacciata dalla squadra di football del protagonista; per il resto nessuno gli dà fastidio od ostacola il gruppo. Quanto alla sceneggiatura, chiunque abbia visto più di tre film gay in vita sua, o più di due ambientati in una scuola superiore, avrebbe potuto scriverla a occhi chiusi.
Pedagogico e corretto, ma scipito e noioso.