Dieci piccoli filosofi

27 febbraio 2014

Se si considera che i filosofi del titolo sono un gruppo di formosi adolescenti di una scuola inglese snob sita in contesto esotico (Indonesia), capeggiati da un piacente professore in tenuta aderente da discoteca più che in abiti da magistero, si può avere un’idea di cosa il film abbia da offrire e di quali siano i suoi problemi. A partire dal fatto che la filosofia non c’entra pressoché nulla. Quello che i venti ragazzi della classe sono chiamati ad affrontare, o meglio costretti ad affrontare sulla base di ricatti assai discutibili del loro docente, è semmai un dilemma puramente pragmatico che pertiene più alla biologia (selezione naturale) che all’etica, a dispetto di quanto si vuol far credere. Devono infatti immaginare un’apocalisse atomica che per qualche motivo si abbatta sull’Indonesia, la quale non mi risulta essere proprio così strategica attualmente dal punto di visto geopolitico, ma suppongo questo non conti: la coproduzione portava lì e non si deve andare tanto per il sottile. Poi devono immaginare un bunker dal design molto trendy. Poi devono immaginare che nel bunker trendy solo la metà degli studenti trendy della scuola trendy possano essere ospitati. Insieme al professore, che sarà anche contestabile ma non è scemo.

Il gioco filosofico, che di filosofico ha ben poco, si riduce dunque alla scelta dei dieci fortunati che condivideranno insieme un appartamento per dodici mesi. È esattamente quello che sembra: il casting per un Grande fratello versione cinematografico-apocalittica. Ovvero la filosofia spiegata (tramite effetti speciali oltremodo kitsch) ai ragazzi cresciuti a suon di reality. Con un mito della caverna qua, un paradosso della scimmia che scrive l’Amleto là, il film ripropone per tre volte la stessa storia, con qualche trucco intermedio (per qualche ragione ai ragazzi è concesso di operare le loro scelte sulla base del sapere acquisito nelle simulazioni precedenti…) e il risultato di far assomigliare sempre più il bunker alla casa del più famigerato dei reality, dove nella sostanza non si fa altro che accoppiarsi per passare il tempo (lo scopo è pur sempre quello di garantire all’umanità un futuro).

Progressivamente i ragazzi prendono il controllo della situazione, perché si palesano le manipolazioni del professore, e il film si chiude su una morale molto “umanistica” nelle intenzioni. Cioè la terza volta nel bunker non ci finiscono gli stalloni e i cultori di saperi di pratica utilità (ingegneri, medici, ecc.), come da logica evoluzionistica sostenuta dal professore, bensì tutti i "creativi" precedentemente esclusi: l’arpista inutile, la cantante lirica inutile, lo scrittore inutile. E anche un gay inutile (dal punto di vista riproduttivo). Il quale oltretutto chiede (e ottiene) di avere pure un compagno perché vuole divertirsi anche lui, e ovviamente è ben accetto da tutti gli altri alunni. Anzi, a essere bene accetti sono i due ragazzi gay, poiché le statistiche non sono opinioni e quindi su venti studenti ce ne devono essere almeno due, tanto che la velata della classe si rassegna a fare il suo coming out in diretta, ovviamente per alzata di mano ché siamo pur sempre a scuola. Il film si chiude dunque su quello che vorrebbe essere un inno alla diversità e alla fruizione estetica come unica forma di esperienza che possa dare un senso all’esistenza. Cioè: senza tutto ciò di (soprav)vivere non ha senso. Si chiede poi al pubblico, nella sostanza, di chiudere un occhio sul fatto che l’esperimento provi al contempo la poco incoraggiante tesi secondo la quale questo circo di freaks sia effettivamente destinato all’estinzione, tanto da sopravvivere giusto perché nella terza occasione l’olocausto non c’è stato.

Inoltre alla fine si scopre pure che il professore impone questo esperimento dai risvolti crudeli non per dare il suo insegnamento finale e supremo alla classe, ma solo per vendetta personale, perché è geloso di una studentessa con cui ha una relazione, di nascosto dal di lei fidanzato, un biondo compagno di scuola che il docente non riesce a non detestare. Come dire: anche il pensatore più fine è in realtà governato da istinti basso material corporei. Ovvero, la scoperta dell’acqua calda (che la paideia contempli l’eros lo sanno anche i sassi), peraltro riscaldata in una forma viziosa (l’insegnamento degenera a causa dell’infatuazione del docente, tanto che questi diviene l’antagonista in tutti e tre gli esperimenti e si suicida persino in uno dei finali immaginati). Per fortuna i suoi allievi sono più maturi, stabili e raffinati di lui e riescono ad avere la meglio. Così potranno aspirare a superare le prossime selezioni del Grande fratello e garantire la sopravvivenza dell’umanità sotto gli occhi del pubblico, senza farsi mancare il loro bel gay da salotto. Magari due.

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