Galeotto fu 'l bicchiere e chi lo ruppe

5 marzo 2014

Parziale remake di un’omonima serie della BBC, House of Cards è nata dalla penna di Beau Willimon, già autore di Farragut North, lo spettacolo teatrale da cui George Clooney ha tratto Le idi di marzo. Dopo aver partecipato come volontario alla campagna elettorale del senatore democratico Chuck Schumer nel 1998, Willimon ha lavorato anche al fianco di Bill e Hillary Clinton: impossibile evitare il parallelo tra la reale power couple presidenziale e il duo protagonista della serie televisiva, il capogruppo dei Democratici Frank Underwood (Kevin Spacey) e sua moglie Claire (Robin Wright), leader di un’organizzazione no-profit.

Frank e Claire sono un’oliata macchina da soldi, un’idra vorace al potere, talvolta un’associazione a delinquere, ma di certo non sono una coppia eterosessuale. Lo si chiarisce fin dai primi episodi: i due non hanno mai consumato un rapporto carnale, e il massimo che riescono a condividere entro i confini delle mura domestiche è la sigaretta ansiolitica della sera. Claire ha abortito tre volte nell’arco della sua vita: in nessuno dei casi il feto era di Frank. Più che aperta, la loro relazione è proprio spalancata: nella prima stagione vediamo Claire sfogarsi sessualmente – sebbene solo per qualche giorno – con un artista newyorkese, nel tentativo di sottrarsi a un’esistenza competitiva che inizia ad andarle stretta, mentre Frank praticamente violenta una giovane giornalista (Kate Mara) di cui si è servito per far trapelare informazioni secretate. Con un caveat, pronunciato direttamente dal personaggio di Kevin Spacey: «Un grande uomo disse che nella vita tutto riguarda il sesso, tranne il sesso stesso. Il sesso è una questione di potere». I rapporti sessuali tra Frank e la giornalista in effetti sono sempre fugaci, impersonali, astiosi, rigorosamente da dietro, senza l’ombra della benché minima intimità o di un bacio, al limite del sadomaso se non dello stupro: lo scopo è evidentemente quello di mettere al suo posto la donna, rea di averlo sfidato con un eccesso di curiosità e iniziativa.

Nei rari momenti in cui Frank ha la possibilità di prendere il respiro ed espletare atti non esclusivamente politici, Willimon e gli altri sceneggiatori seminano molto abilmente indizi sul suo orientamento sessuale lungo tutta la prima stagione: nell’episodio 8, in particolare, Frank fa ritorno alla sua alma mater e si ritrova mezzo ubriaco, sul pavimento della biblioteca, a ricordare i tempi andati insieme a un vecchio amico (David Andrews). Le battute di dialogo si prestano a una lettura fra le righe: «Ero così attratto da te», «Tu volevi dire molto per me»… anche se naturalmente il vecchio amico nel frattempo si è sposato, con tanto di figli e fabbrichetta.

Nel turbolento finale della prima stagione, Frank promuove un po’ inaspettatamente l’ex poliziotto Edward Meechum (Nathan Darrow) a bodyguard personale: anche agli occhi del più malizioso spettatore gay si tratta di un gesto inspiegabile, dato che l’agente è una totale nullità nella gerarchia washingtoniana, ha ben poco da offrire sul piano delle conoscenze influenti ed è pure stato precedentemente licenziato per aver sparato colpi a caso per strada. Il malizioso spettatore gay trova pane per i suoi denti nella seconda stagione: la promozione di Meechum è l’inizio di una serie di languide occhiate (la macchina da presa talvolta indugia quel mezzo secondo in più del necessario), di serate al chiaro di luna in cui i due bevono e giocano a baseball nel cortile sul retro, di situazioni via via più sensuali che raggiungono un climax esplicito nell’undicesimo episodio. Durante uno degli ormai rituali brindisi, Meechum rompe un bicchiere e si procura un taglio su una mano: Claire osserva da lontano mentre Frank benda la ferita di Meechum, per poi avvicinarsi e dare il proprio silenzioso assenso al rapporto sessuale (forse a tre con lei, forse soltanto tra i due uomini) che viene in seguito consumato fuori campo. È evidente che, in questo caso, non si tratta di una “questione di potere”: Frank bacia Meechum, sulle labbra e appassionatamente, ed è la prima manifestazione d’amore da lui espressa in ventisei episodi (anche Claire bacia Meechum a mo’ di beneplacito, ma solo sulla mano ferita); Meechum, come scritto sopra, non ha potere alcuno; come se non bastasse la sequenza si conclude con Claire che, la mattina seguente, incoraggia Frank con un «ne avevi davvero bisogno».

Nonostante la chiarezza della situazione, molti degli spettatori si sono affrettati ad assumere un atteggiamento difensivo (i forum di discussione pullulano di «I didn’t see that coming!» o di «That can’t be true!»), se non addirittura a negare l’evidenza e a propugnare la non-omo-/bi-sessualità del personaggio di Spacey: del resto Frank Underwood è il catalizzatore unico dell’identificazione maschile nel racconto di Willimon, quindi una reazione del genere era da preventivare. In qualità di malizioso spettatore gay, ammetto di aver esultato come un hooligan allo stadio quando il sottotesto omosessuale di House of Cards è finalmente uscito allo scoperto: una volta tanto riguarda il protagonista, e non una qualche comparsa da far sparire subito dopo.

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