recensione diMauro Fratta
Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus
Nonostante il notevole realismo nei dialoghi, Cameron rimane un po' un estraneo se confrontato con le tendenze odierne più tipiche della narrativa americana; piuttosto, a me dà spesso, e non soltanto qui, l'idea d'un autore americano che cerchi di scrivere come un francese: ci s'imbatte costantemente, leggendo le sue pagine, in un'aura di vertigine, di non detto, di sottaciuto, fra i quali si scivola e si passeggia senza intoppi, ma con un senso insopprimibile di spaesamento e disagio; d'altronde, anche parecchi suoi personaggi vivono fra color che son sospesi: si tratta spesso di emigrés, di gente che vive sul confine tra esperienze, culture e scelte sentimentali.
Benché ovattati e smussati nella resa narrativa, i contrasti vengono però a galla poco a poco, incarnati a volte in gesti minimi, a volte in parole o silenzi sbagliati. Sulle prime, si potrebbe ritenere che, dopotutto, Cameron si limiti così a denunciare una certa ipocrisia di tante presunte famiglie felici: il taciturno John e la loquace moglie Marian, ricchissimi rentiers in apparenza contenti nel loro villereccio romitaggio, per gradi assumono il volto di due terribili egoisti divorati dalle proprie manie; il giovane Robert dà prova d'una rigidità suicida; il ben più vecchio e navigato Lyle dimostra di non aver ancora acquisito un minimo di sapienza diplomatica che riesca a salvare una storia d'amore col giovane Robert appena nata.
Però, a ben guardare, ad uscirne ammaccata non è tanto, al limite, la famiglia americana, quanto l'etica americana, quella bacchettoneria della sincerità ad ogni costo, la quale rifugge dalla flessibilità e dalle maschere, giungendo però ad affogare così anche le relazioni sociali, che in parte si nutrono altresì di sfumature, di travestimenti, di accortezze; l'urbanità non consiste soltanto nelle buone maniere, ma anche nel saper ornare, celare, troncare e sopire. L'autore addita così la fragilità estrema delle relazioni umane in quanto tali, a cominciare proprio da quelle più nobili e calde, l'amicizia e l'amore, e la loro sostanziale natura ambigua, che si regge infatti, almeno in parte, sull'abilità nel tacere e nel mentire.
Certamente chi conosca già l’opera del Nostro ne trarrà un notevole sentore di déja vu: alcuni temi, come appunto l’ambientazione in campagna o la passione dell’intellettuale un po’ attempato per il giovane artista, sono anzi ricorrenti; ma la scrittura placida e sottile di Cameron sa rendere gradevoli anche le ripetizioni e accattivanti perfino i dialoghi un po’ vacui e le situazioni sul filo del nulla. Forse Cameron non è uno scrittore grande; non è uno scrittore che entusiasma ed emoziona alla prima lettura; ma nemmeno è uno scrittore banale, e nemmeno uno scrittore che annoia.