Dall'Islanda con amore. E tanto alcol

22 marzo 2014

Il film comincia come tanti altri: due ragazzini a scuola che condividono una stanza, si parlano. Uno timido, l’altro estroverso. Uno evidentemente gay, l’altro apparentemente etero. Non occorre molto perché, sotto una pianta, di sera, si bacino. L’unica particolarità è che sono due islandesi in trasferta provvisoria a Manchester. Una volta rientrati a casa, lo spettatore non può che temere uno dei due soliti intrecci: i fanciulli si amano ma qualcuno li ostacola; i due entrano in crisi perché l’etero apparente ci tiene a continuare a fare l’etero, benché apparente.

Invece Órói prende tutta un’altra piega, e per chi dell'Islanda sa solo che è vicina alla Groenlandia, diede rifugio a Bobby Fisher, è piena di geyser, ha meno abitanti di Bologna e una lingua astrusa, assume quasi la forma di un trattato sociologico sulla gioventù locale. La quale già in tenera età pare conosca due sole attività: l’alcol e il sesso, meglio se insieme. Partecipare a orge e gareggiare a chi diventa prima cirrotico sembra sia infatti l’attività preferita di tutti i minorenni islandesi. Problemi non da poco, tanto che ci scappa anche il morto. Né sorprende che svariati adulti siano a loro volta alcolizzati, nevrotici e promiscui quanto basta a rendere dubbie talune paternità.

La costruzione dell’intreccio, presentando poco altro, è in effetti un po’ monotona (né vi sono guizzi di forma particolari a ridarle vigore), ma serve meglio a rendere l’idea che il film è quanto di più lontano si possa immaginare da uno spot della pro loco di Reykjavik.

Se queste sono le amenità in cui si trastullano gli adolescenti islandesi, fa eccezione il protagonista, che è proprio un bravo ragazzo. Tanto da volersi bene quanto basta da smettere di vedere il sedicente etero dopo che è andato a letto con una ragazza sotto i suoi occhi, in una delle tante suddette feste orgiastiche. Lui del resto è proprio timido e, nonostante nessuno sembri avere nulla da ridire contro l’omosessualità, non ha ancora detto nulla a nessuno. Nemmeno alle ragazze che vorrebbero portarselo a letto (e che costoro non manchino non suscita sorpresa, date le premesse). Il fatto è che non ha ancora le idee chiare nemmeno lui. La sua graduale presa di coscienza non si mangia però l’intera storia e si intreccia invece agli altri filoni del racconto, evitando così di replicare vicende già viste mille volte. Tanto che anche il lieto fine suona sincero ed è risolto con rapidità, con un sobrio gioco di profondità di campo che vede in primo piano i genitori che discorrono fra di loro senza accorgersi che sullo sfondo, dietro la porta rimasta socchiusa, il figlio è teneramente avvinghiato al compagno finalmente conquistato. Sic et simpliciter.

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