Sei come sei

1 aprile 2014

Sebbene io sia favorevole senza riserve al matrimonio fra le persone del medesimo sesso e all'adozione di bambini da parte delle coppie sposate di gay o lesbiche (dato che, come avviene per le coppie etero, l'attitudine di tali soggetti a crescere un figlio sarebbe vagliata con tutta la severità che il nostro legislatore prevede in materia), non riesco a capire e ad accettare una trovata quale il cosiddetto "utero in affitto". A me sembra che se una coppia di uomini si serve d'una donna mai conosciuta per portare avanti una gravidanza il cui frutto le è del tutto estraneo, la donna e la gravidanza stessa si degradino a qualcosa di meccanico; e anche codesta paternità biologica mi pare una contraffazione misera e zoppa della procreazione naturale, perché in realtà il figlio non sarà mai figlio biologico della coppia, ma sempre e solo di uno dei genitori; perché inseguire un modello di filiazione che una coppia gay non potrà mai realizzare in pieno? Queste coppie, di fatto, negano la loro specificità di coppie omosessuali: agognano all'eguaglianza con le altre non nella dignità e nei diritti, ma nella biologia; e quindi, sotto sotto, danno l'idea d'una scarsa autostima in quanto gay. Sed de hoc satis.
In questo romanzo della Mazzucco, la piccola protagonista, Eva, è una ragazzina molto sveglia, riflessiva e intelligente, figlia d'una coppia di gay che appunto l'hanno concepita con utero in affitto; il padre biologico però muore in un incidente, e da qui cominciano i guai, perché di fronte alla legge italiana l'altro padre non è nulla. L'autrice tuttavia introduce tutti questi antefatti un po' per volta: sono il nocciolo della storia, ma non ce ne accorgiamo subito, perché il fulcro iniziale è costituito da una tragedia successiva di cui Eva è vittima nella metropolitana di Milano, che la spinge a fuggire dagli zii che l'hanno in affidamento per ritrovare il secondo papà, caduto nel frattempo in depressione e rifugiatosi sulla montagna laziale. In questo modo è accortamente evitato il pericolo di presentare la storia come se fosse un racconto a tesi: la piccola Eva, il padre biologico Christian, il suo compagno Giose, i nonni e gli altri membri delle loro famiglie prendono colori e luce in maniera graduale e naturale sotto gli occhi del lettore, spiccando perciò alla fine come persone vive; in particolare i due padri gay divengono presto personaggi a tutto tondo, così vivi e simpatici che si soffre con loro anche senza apprezzarne le scelte procreative.
Tale scelta compositiva rivela lo scrittore autentico, nel quale infatti eventuali preoccupazioni di ordine morale non fanno schermo alle ragioni della scrittura, e tanto meno la soffocano. Oltre a ciò, tuttavia, l'entrare subito in medias res, mettendo in luce soltanto in seguito i nodi etici e ideali su cui alla Mazzucco preme guidare l'attenzione e la riflessione dei lettori, aiuta a comprendere come le categorie dentro le quali siamo soliti distribuire gli atti o le persone per applicarvi i nostri canoni di giudizio creino spesso, anche in modo affatto involontario, iniquità e violenze. Lo spirito di nomenclatura è probabilmente innato, e l'incasellare comportamenti ed esseri umani entro categorie costituisce senza dubbio un fenomeno culturale necessario e inevitabile; ma non ci si dovrebbe mai dimenticare che dietro le etichette esistono esseri umani con le loro storie, con la loro sensibilità, con le loro aspettative. A un certo punto è fuggevolmente menzionata una donna (non nominata ma riconoscibile) che qualche anno fa era in politica e sovente pontificava in televisione contro le coppie gay; non era una persona offensiva o animosa: sillogizzava con pacatezza; eppure proprio ciò faceva risaltare vie più le discrasia fra la legge, a suo dire naturale, che andava difendendo, e la realtà tutta diversa delle coppie contro le quali erano incoccati i suoi strali. Con un procedimento genuinamente letterario Melania Mazzucco addita qui proprio lo stesso problema, ma con mani lievi, senza teorizzare, semplicemente attraverso lo sguardo e il pensiero dei suoi personaggi. Le considerazioni sul nostro modo di percepire il tempo sparse qua e là, frutto delle ricerche di Christian, filologo classico e storico delle religioni, parimenti nelle mani d’un autore meno abile si trasformerebbero in un orpello erudito, mentre qui si fondono entro la narrazione con molta naturalezza; e la scrittura, più cesellata che compiaciuta, non è mai pesante. Forse il libro vuol dire troppe cose: ma in letteratura, soprattutto nell’Italia letteraria odierna ove l’ardisco, non ordisco sembra condannato al ripostiglio delle massime appassite, a volte la prodigalità di espressioni e d’idee arriva benvenuta, soprattutto se la sovrabbondanza è, come qui, manipolata e dominata con destrezza.
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