recensione di Marco Valchera
Annabel
Annabel, secondo estratto dal bellissimo sesto album dei Goldfrapp, Tales Of Us, che ha visto il duo britannico tornare fortunatamente alle atmosfere bucoliche e folk dei primi lavori, dopo la sbornia dance pop alla Abba di Head First, racconta, nei suoi sette minuti, la storia di un ragazzino tormentato che si aggira per i boschi con il suo più grande sogno: “When you dream / you only dream you’re Annabel”.
Ispirato all’omonimo romanzo di Kathleen Winter in cui si narrava la vicenda, ambientata negli anni Sessanta, di un ermafrodito costretto ad assumere l’identità maschile, la regista Lisa Stunning decide, in un intenso bianco e nero, di mescolare le carte in tavola e di rendere protagonista un adolescente che, tra passeggiate in bicicletta e studi del proprio corpo, nel finale indossa un abito femminile glitterato e una collana di perle, riuscendo a raggiungere la tanto combattuta felicità, che si materializza nella comparsa del sole e dei caldi colori della natura. Con estremo tatto e con note malinconiche e meditative, i Goldfrapp mettono in scena una tematica inedita per un brano che fa da traino ad un intero album e toccano le giuste corde con eleganza e classe. La liberazione dei limiti imposti dal sesso biologico e dall’ottusità degli altri (“Nothing that they did will stop you Annabel”, “Why they couldn’t let you be both Annabel”) assume i contorni di una storia lieve ed immediata, in cui l’enigmatica leader si ritaglia una piccola parte per lasciare spazio solo a delle immagini intense sulla transgenderismo, raffigurato senza alcun tipo di provocazione, ma con tutta la naturalezza possibile.