recensione diAlessandro Martini
Più bello di così si muore
Versione cinematografica dell'omonimo romanzo di Antonio Amurri (che in realtà era stato pubblicato per la prima volta con il più esplicito titolo "il travestito"), "Più bello di così si muore" racconta le comiche disavventure di Spartaco, un giovane senza arte né parte, che spinto dal bisogno si traveste da donna (assumendo il nome d'arte di Marina) per prostituirsi e mantenere così la moglie che è in attesa del loro primo figlio.
Nel portare sullo schermo la sua opera Amurri ne modifica profondamente sia la storia che il tono: se nel romanzo originale Spartaco è un ragazzetto di borgata biondo, magro ed efebico, molto vicino a certi ragazzi di strada di memoria pasoliniana, sul grande schermo ha il volto di Enrico Montesano che di efebico o biondo ha davvero poco.
Con l'eliminazione dell'aspetto femmineo di Spartaco vengono eliminati anche i riferimenti gay dell'opera, volti nel testo originale a sottolineare il fatto che il nostro eroe malgrado si travesta per lavorare "non è frocio per niente".
Ciò è comprensibile: con la fisicità e la voce di Montesano allo spettatore medio non sarebbe mai venuto in mente che questi possa "esserlo per d'avvero"
Amurri si spinge oltre e ammorbidisce anche il carattere di alcuni personaggi di contorno: rende meno ambiguo il personaggio di Agenore, cognato di Spartaco, che essendo esteticamente molto poco attraente prova verso il congiunto una profonda invidia e un senso di inadeguatezza sessuale. Invidia che nel libro ci viene fatto capire essere alquanto infondata: in un interessantissimo passaggio del romanzo viene spiegato che malgrado il bellissimo aspetto esteriore Spartaco a letto fosse un amante men che mediocre; nel film al contrario Spartaco un vero sciupa femmine tanto da portarsi pure a letto (anche se in maniera involontaria) la moglie del povero Agenore.
Poche invece sono le modifiche fisiche o caratteriali apportate a Nereo, un ricco nobile con problemi sessuali che si invaghisce di Spartaco/Marina senza però arrivare mai a consumare con lui un amplesso. Festa Campanile ebbe il buon senso di scritturare per la parte Vittorio Caprioli che riuscì a incarnare alla perfezione la sottile ambiguità del personaggio rendendolo credibile e umano conservando al contempo i lati grotteschi e comici presenti nell'originale.
Dati i presupposti sparisce anche il poetico finale del libro in cui Spartaco, tradito dalla moglie e rimasto senza famiglia, torna a travestirsi e va a "battere" per cercare la compagnia e comprensione di un altro essere umano.
Ciò che rimane è un film moderatamente divertente che offre una serie di gag non sempre riuscite basate sul rodato meccanismo comico "uomo eterosessuale che deve travestirsi per bisogno e nel fare ciò cerca di non rimetterci il c… ". Un vero peccato.