La regina delle nevi

1 settembre 2014

Tre vite. Come in molti dei suoi precedenti lavori, Michael Cunningham decide di ritrarre tre vite nel suo sesto romanzo, La regina delle nevi: Barrett – “così chiaramente destinato ad altezze vertiginose o al completo disastro […] è diventato l’ennesimo newyorchese che riesce a malapena a sbarcare il lunario” – lavora in un negozio di cianfrusaglie dopo aver abbandonato un dottorato universitario, vive con il fratello e la sua futura moglie in un piccolo appartamento nel modesto quartiere di Bushwick ed è appena stato lasciato dal suo ennesimo fidanzato nel peggiore dei modi, tramite un sms; Tyler, quarantatreenne musicista fallito, fratello di Barrett, sta cercando di comporre la canzone perfetta per le sue nozze con Beth e, intanto, continua a drogarsi all’insaputa di tutti; Beth, malata di cancro, la “regina delle nevi” dal candido pallore, cerca di assaporare il poco tempo che le resta. Le loro vite scorrono sullo sfondo di una New York fredda, ghiacciata, quarta attrice sul palcoscenico narrativo, e di un’America alla vigilia della rielezione tanto inattesa quanto odiata di George W. Bush. Fino a quando, una notte di novembre, la neve non fa capolino nelle loro esistenze, soprattutto in quella di Barrett, che, credendo di aver scorto in cielo una luce che lo abbia fissato, inizia ad interrogarsi sulla propria vita e sul significato di questo messaggio, interpretandolo, in principio, in chiave divina.

La prima splendida parte del romanzo, focalizzata su questa inedita famiglia a tre, – un po’ come avveniva in Una casa alla fine del mondo – si complica e ingarbuglia nella sezione centrale, una lunga festa di Capodanno di due anni dopo, quando, contrariamente a tutte le previsioni, Beth è ancora in vita: la scrittura di Cunningham si immerge in una dimensione corale, una veste a lei insolita, presentandoci una serie di personaggi superflui ai fini dell’intreccio principale – tranne Liz, la migliore amica della protagonista, – che, con grande perizia narrativa, scompaiono con il concludersi della festa. Ma la morte è in agguato e porta una serie di significativi e rivoluzionari cambiamenti nelle esistenze dei due fratelli, cui ora si intreccia anche quella di Liz, proprietaria del negozio in cui lavora Barrett e legata al toy boy Andrew. E, insieme a loro, anche l’America sembra cambiare volto, con la sfida McCain-Obama.

Confermando nuovamente la sua propensione verso l’iperletterarietà narrativa – Woolf, Whitman, Mann, in questo caso Andersen – La regina delle nevi mette in scena anche un’esclusiva novità nella prosa di Cunningham: il richiamo sottile o manifesto ai suoi stessi romanzi. Quindi Beth cucina torte, come Laura Brown ne Le ore, o Alice di Una casa alla fine del mondo; appare la fontana Bethesda di Central Park, uno dei leitmotive di Giorni memorabili; l’autore sembra calarsi in un’autoparodia di Al limite della notte quando Barrett, pensando al bello e vuoto Andrew, si interroga se ci si possa innamorare di un Apollo di Fidia.

Al di là di questo divertissement letterario, la capacità di Michael Cunningham di creare storie appassionanti sembra essere tornata sulla retta via, dopo una serie di romanzi non proprio eccellenti, rivolgendo il suo sguardo al passato: i personaggi che si muovono in questa New York invernale sono lontani parenti di quelli delle prime opere, di Bob, Clare e Jonathan e dei giovani Stassos di Carne e sangue. A dimostrazione che ciò che riesce meglio al vincitore del premio Pulitzer è rappresentare l’esistenza umana nella sua quotidianità e scandagliarla nelle sue emozioni e sensazioni, si tratti di Virginia Woolf, del sentimentale e dolce Barrett o del “dannato” e protettivo Tyler.

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