recensione diGiulio Verdi
Estate artica
E. M. Forster è il più brillante e fortunato caso di reticenza letteraria del secolo scorso: Maurice, unico dei suoi romanzi a contenere una relazione esplicita tra uomini, fu pubblicato soltanto postumo nel 1971 nonostante fosse stato scritto almeno cinquant’anni prima, subito dopo il successo ottenuto con Camera con vista e Casa Howard. Estate artica avrebbe dovuto essere il settimo romanzo dell’autore inglese, ancora più audace di Maurice nelle intenzioni, ma rimase incompiuto: sarebbe stata un’autobiografia romanzata, «un’immagine del millennio che tutti i buoni cittadini stanno cooperando per creare», un racconto della vita lontana dal gelido mondo occidentale e degli amori per uomini di altre culture e di rango inferiore, che Forster sentiva più vicini al proprio desiderio.
I frammenti del testo originale di Forster erano già stati pubblicati qualche anno fa, ma l’ormai pluripremiato Damon Galgut ha ripreso in mano la storia – oltre che la celebre biografia di Forster scritta da Philip Furbank – e ne ha fatto qualcosa di più: un romanzo completo e un atto d’amore verso un così notevole modello letterario nonché pioniere della letteratura a tematica omosessuale.
Ambientato in India – o sulle acque che lì portano – a partire dal 1912, è molto più ritratto fedele che pura invenzione: il Forster che Galgut porta in vita nelle sue pagine è verosimile e comprensibilmente in preda agli ormoni. La fuga da un’Inghilterra puritana in cerca di giovani belli e disponibili è il tratto comune a tutti i romanzieri omosessuali inglesi del primo Novecento: mentre Isherwood e Auden avevano scelto la Germania del sole weimariano, Forster si spinse verso le terre più orientali dell’Impero coloniale. Lo vediamo prima alle prese con il losco ufficiale britannico Kenneth Searight, che lo informa con discrezione delle possibilità offerte dall’India; poi con Masud, studente di legge dall’aspetto principesco e un po’ indifferente; infine con il burbero Mohammed el-Adl, un autista di origini egiziane.
I suoi contemporanei ebbero più fortuna per le strade di Hallesches Tor a Berlino oppure nei bar di Sankt Pauli ad Amburgo: Forster, nonostante le occasioni non gli mancassero, rimase vergine fino ai quarant’anni (complici anche un carattere più insicuro e un travagliato percorso di accettazione di sé). La lussuria in madrepatria era considerata un rischio oltre che un vizio, e ciò non poteva che incidere sul modo di vivere il proprio orientamento: la triste sorte di Oscar Wilde era ben presente a questi scrittori, e solo nel 1967 il parlamento inglese depenalizzò l’omosessualità maschile.
Insomma, il romanzo di Galgut è un lavoro analogo a quel Mentre l’Inghilterra dorme di David Leavitt, riscrittura in salsa rosa dell’opera omnia di Stephen Spender: se il libro di Leavitt era talmente mediocre che si beccò una denuncia da un offesissimo Spender, quello di Galgut è decisamente più illuminato.