recensione di Mauro Giori
Educazione sessuale, stile svedese
Forse qualcuno ricorderà quella scena meravigliosa in cui Travis, il protagonista un po’ sbalestrato di Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese, porta la sua neo-fidanzata a vedere un porno. Si trattava in realtà di uno dei tanti film di “educazione sessuale” prodotti in Svezia in quegli anni, che mischiavano prometeiche velleità di avanzamento umano nella buia notte della sessualità rimossa ed… eccessi di illuminazione di quelli che infastidiscono la compagna di Travis, che lascia il cinema già ex fidanzata.
Mera ur kärlekens språk è uno di questi film, e il titolo (che significa più o meno Altro sul linguaggio dell’amore) evidenzia che si tratta di un sequel, specificamente di Ur kärlekens språk, cioè appunto Il linguaggio dell’amore, prodotto l’anno prima e circolato con gran chiasso, proteste e cesure per l’abbondante ricorso a scene di nudo e a interazioni che allora si potevano vedere solo in film clandestini e nelle prime avvisaglie (danesi) della liberazione della pornografia.
Il seguito di cui discorriamo qui non è da meno: una coppia di psicologi (marito e moglie), allora noti, insieme ad alcuni medici ed “esperti” di vari aspetti della sessualità, indagano su ogni forma di “diversità” con il dichiarato scopo di invitare alla comprensione e all’accettazione più completa. E giusto per essere certi che nessuno fraintenda, terminata la discussione tutto viene mostrato con calma e dovizia di particolari.
Con la meticolosità che era dei pionieri tipo Krafft-Ebing, i quali già che c’erano ci mettevano tutto, il film affronta nell’ordine: l’omosessualità maschile, quella femminile, la bisessualità, il sesso tra invalidi, il travestitismo, la transessualità (giusto un cenno), la pornografia, il travestitismo, l’esibizionismo e il sesso tra anziani. Nel mezzo c’è anche una breve parentesi sulle malattie veneree, di quelle che poi l’Aids ha fatto dimenticare.
Ora, va da sé che, come in tutti i documentari sul sesso di quegli anni, anche qui si gioca sul confine tra educazione sessuale come missione ed educazione sessuale come pretesto per mostrare tutto quello che nel cinema istituzionale non si poteva ancora mostrare: e se i due invalidi si limitano a farsi la doccia, tutti gli altri non ci fanno mancare niente.
Nondimeno, rispetto al sexploitation tradizionale, ad esempio a quello che negli stessi anni si faceva in Italia, qui le scene hard sono accompagnate non solo da una compagine informativa animata da autentico spirito progressista (e anticattolico, ché son svedesi non per nulla), ma anche da un autentico spirito di tolleranza globale per ogni forma di sesso e di amore.
Prendiamo la parte sugli omosessuali. A introdurla è una lunga discussione tra i due psicologi che conducono l’inchiesta, un medico e un giornalista gay, che era allora il leader del movimento di liberazione omosessuale svedese. Si prepara così il terreno spiegando senza mezzi termini che l’omosessualità non è una malattia, non è contagiosa, che è la società a essere intollerante, e tutto quanto prevede d’altro il capitolo introduttivo del manuale delle giovani marmotte sessuate sull’argomento. Manuale che ogni essere pensante del pianeta dovrebbe leggere da piccolo, quanto meno per evitare di passare la vita a dare noia agli altri in virtù della propria ignoranza. Nonostante tanta sapienza, non si manca di interrogarsi sui motivi per cui anche nella stessa Svezia, fuori dalle grandi città, l’intolleranza e la paura sono di casa. C’è di che commuoversi a pensare a come eravamo messi in Italia. Anzi, a come siamo messi in Italia.
Ad ogni modo, esaurita la discussione, si passa alla esemplificazione. Le cavie sono due piacenti ragazzetti nordici. Ovviamente si tratta di una ricostruzione fittizia, come se ne facevano anche in Italia, ma mentre da noi le si facevano per mostrare la tristezza dell’omosessualità e le miserie di chi vi era condannato (sia pure talvolta non senza ironia), qui la ricostruzione serve per dimostrare la tesi di fondo del film, e cioè che questi due ragazzi sono persone normalissime che vivono una vita normalissima in una casa normalissima con un’affettività normalissima e una sessualità normalissima.
Ma andiamo per ordine. Anzitutto i due si devono conoscere. Galeotta fu una gelateria, e il vedere due svedesi che mangiano il gelato mi ha fatto più impressione che tutto il resto del film messo insieme, ma la pro-loco di Stoccolma deve avere insistito perché tutto si girasse d’agosto, quando del resto in Svezia c’è almeno un po’ di luce. La scelta comunque non è casuale: perché va bene che gli omosessuali hanno i loro luoghi di ritrovo (e, si dice, bisogna capirli, perché altrimenti sarebbe difficile per loro incontrarsi: segue lista dettagliata di dove rimorchiare), ma si possono incontrare «altrettanto in luoghi normalissimi: bar, ristoranti, caffè e club».
Finito il gelato, i due vanno in discoteca, ché son giovani, bisogna pure capirli: in loro difesa posso dire che la discoteca è assai poco affollata, dal momento che in pista ci sono otto persone in tutto (le ho contate). Stacco: uno dei due scalda un pollo arrosto in padella e l’altro stappa una bottiglia di vino: è passato del tempo e «la relazione omosessuale è ora ben avviata e i ragazzi vivono insieme in un confortevole appartamento nel sud di Stoccolma, in tutto uguale a qualsiasi altra casa di una qualsiasi giovane coppia». Poi i due occhioni del ragazzo che sa scaldare il pollo guardano (sorridenti e un po’ insinuanti) in macchina, cioè guardano gli occhioni del ragazzo che sa stappare le bottiglie: si capisce subito dove vuole arrivare. E infatti la psicologa annuncia: «È lo stesso con il sesso omosessuale».
Ci spostiamo in camera da letto: i due sono già avvinghiati e in tenuta adamitica, perché il tempo scorre e non se ne deve sprecare troppo; anche la musichetta d’atmosfera non si fa attendere. Continua la psicologa, per nulla turbata: «Non è solo una questione di sesso, come molti pensano. Gli stessi sentimenti sono in gioco qui come nella relazione eterosessuale. Amore, tenerezza, amicizia e odio». E intanto i due danno soprattutto dimostrazione dell’amore, perché ne stanno facendo già di tutti i colori, ripresi con dovizia di dettagli.
Conclude la psicologa, mentre i ragazzi si scambiano tenerezze postcoitali, talmente innamorati da non avvertire nemmeno l’esigenza di ripulirsi: «Questo è solo un esempio di come due persone dello stesso sesso possono fare l’amore. Queste sono due persone che vanno a letto insieme e si alzano insieme alla mattina». Che aggiungere? Una semplicità commovente, dritta al punto.
Siccome però i due devono illustrare tutto, ma proprio tutto, per dimostrare che la psicologa ha ragione, se costei dice che si alzano insieme loro si devono alzare. Insieme. Ed ecco allora l'epilogo: è già mattina e il ragazzo del pollo va a farsi la doccia mentre quello della bottiglia va ad aprire le imposte e… si mostra nudo a tutto il vicinato. Si vede che in Svezia, d’estate quando si mangiano i gelati, si usa così. Poi il fanciullo raggiunge l’altro e lo aiuta a lavarsi la schiena. Ecco dimostrato che sono due persone. E due persone come tutte le altre, che fanno cose normalissime e si vogliono bene.
Ora, considerato quello che circolava all’epoca, se pure di sexploitation si tratta qui lo sfruttamento del sesso vale decisamente la candela: i due ragazzi avranno anche tutte le caratteristiche necessarie per fare gli attori porno, ma allo stesso tempo offrono uno spaccato diabetico eppure toccante della semplice umanità di una relazione. Le due componenti si completano perfettamente sicché, nonostante qualche indugio di troppo renda innegabile che sì, un po’ porno il film lo è, la parte porno non mette in discussione la buona fede di quanto si vuole sostenere. Tutto sommato l’effetto che si vorrebbe ottenere, quello cioè di raschiare la sensazione dal sesso per renderlo un fatto comune, è raggiunto anche grazie all’ausilio pornografico.
Del resto non tutte le scene hard successive sono imputabili di analoga doppiezza: difficilmente si sarebbero potute accusare di voler essere semplicemente eccitanti le sequenze della poliomelitica con il fidanzatino sotto la doccia, del dettaglio di un tampone fatto a un pene sgocciolante per la gonorrea, o dei ragazzi ciechi che fanno educazione sessuale con modelli dal vivo (e almeno il pene del ragazzo in carne e ossa ha il vantaggio di non smontarsi come quello del modello di plastica che lo ha preceduto, causando immagino un trauma perenne alla poverina ipovedente responsabile dell’involontaria evirazione). E aggiungerei alla lista anche la scena dei settuagenari obesi spiaggiati sul letto: va bene che la psicologa aveva avvertito che a una certa età ci si stanca presto ed è bene ricorrere ad “ausili”, ma per un attimo ho temuto davvero che questi due fossero proprio morti, dimenticando il vibratore acceso.
Per chi ora della fine non ne avesse potuto più, l’apoteosi è su una regolare coppia di eterosessuali. La Svezia era avanti, s’è capito, e tollerava anche loro.