recensione diElena Romanello
Pride
Gran Bretagna 1984. Mark, giovane attivista gay, decide con alcuni amici e amiche omosessuali di iniziare una raccolta fondi a partire dalla sua associazione per sostenere il sindacato dei minatori in Galles in sciopero contro la politica di austerità di Margaret Thatcher, notando come la polizia riservi a queste persone lo stesso trattamento repressivo che usava contro gay e lesbiche fino a poco tempo prima. Una scelta a cui aderiscono vari attivisti, sia pure con qualche remora, così come c’è qualche riserva quando entrano in contatto con una sperduta comunità gallese di minatori. Tra varie storie parallele, nasce però una forte solidarietà, sia pure con qualche attacco omofobo, e due mondi così diversi all’apparenza scopriranno di avere molto più in comune di quello che pensavano. Lo sciopero dei minatori non raggiungerà i risultati sperati, ma al Pride del 1985 saranno le associazioni sindacali di categoria ad aprire in forze il corteo, votando poi per far inserire le rivendicazioni omosessuali nello statuto del partito laburista.
Pride è uno dei film sorpresa di questa stagione, ingiustamente escluso e dai Golden Globe e dagli Oscar, e capace di mettere insieme divertimento, commozione, impegno e riflessione. Basato su una storia vera, e molte delle persone che appaiono nel film esistono realmente o sono esistite, Pride ricostruisce una pagina non lontanissima della Storia europea ma che appare già remota, quella degli anni Ottanta, liberisti e spregiudicati fino alla crudeltà, raccontando una Gran Bretagna abbastanza lontana da come è oggi in tema di diritti gay, e ricordando che i diritti non sono solo di pochi ma di tutti e che dividersi non porta a niente ma unirsi può portare a molto, come dimostra LGSM, acronimo che funziona tra l’altro sia in inglese che in italiano.
Mettendo a confronto il colorato e alternativo mondo degli omosessuali britannici dell’epoca a quello molto conservatore e provato da una vita con pochi sprazzi dei minatori gallesi, Pride racconta le tante storie di cui sono fatte tante vite, con non pochi esempi di riscatto sociale, dalla casalinga che diventerà deputato al ragazzo aspirante cuoco che trova il coraggio di staccarsi dalla famiglia omofoba e oppressiva che vorrebbe curarlo.
Un film in cui si parla di famiglie vecchie e nuove, di riscatto di minoranze non poi così tali, di Aids, di impegno sociale, di omofobia, di superamento di steccati bigotti, di voglia di fare e di sperare, che si inserisce nel filone dei tanti film britannici che parlano di realtà alternative con ironia e toni dissacranti, da Billy Elliott a Calendar girls, ma raccontando comunque una storia vera e non romanzata, con tanto di catarsi finale realmente accaduta.
Buono il cast formato da caratteristi e volti di cinema, teatro e televisione di Oltre Manica, in mezzo al quale giganteggiano i due nomi più noti di altri di Bill Nighy, sindacalista non più giovane che ha nascosto per tutta la vita la sua omosessualità, e Imelda Staunton, austera casalinga che saprà scoprirsi pasionaria per i diritti di tutti e tutte.
Pride è un film da vedere e rivedere, ed ha saputo far riflettere non poche persone anche alle nostre latitudini, oltre a coinvolgere con una trama che non lascia indifferenti e che alla fine fa anche bene dentro, togliendo qualche incrostazione che anestetizza cuore e coscienza e dando speranza in qualcosa di migliore. La situazione italiana oggi non è poi così diversa da come era la Gran Bretagna della Thatcher, tra omofobia e violazione sistematica dei diritti dei lavoratori ad avere un’esistenza decente, e magari per un attimo si può riflettere e provare a prendere ad esempio, in qualche modo, cosa è successo giusto trent’anni fa in un Paese poi non così lontano da noi.