recensione di Marco Valchera
Harry and Max
Uno degli aspetti più fastidiosi di una pellicola che dovrebbe suscitare del presunto scandalo è quello di ridursi a un filmetto verboso e pruriginoso, dove non accade mai nulla ma i protagonisti si abbandonano solo a battutine e sguardi maliziosi e a ricordi di quello che fu. Ecco sintetizzata la trama dell’insopportabilmente patinato Harry and Max: si dovrebbe riflettere sull’incesto tra due fratelli, ma, giunti al finale, non si capisce quale sia il punto di vista del regista, quale sia il messaggio da trarre, quale sia il perché di tale ridicolaggine. Harry, superstar con problemi di alcolismo, è legatissimo al fratellino minore Max (che sembra uscito dal gruppo pop Hanson), anche lui stella nascente della musica: il più piccolo, dichiaratamente gay, è da sempre innamorato del fratellone, che, di tanto in tanto, si fa sollazzare con qualche blowjob dal biondissimo Max.
Vediamo scene hard? No, perché i due non fanno altro che rincorrersi senza mettere in pratica niente, se non ricordare un loro rapporto sessuale (?) alle Bermuda, nominate con enfasi allo spettatore almeno una decina di volte. Vediamo delle evoluzioni particolari dei loro comportamenti? No, perché assistiamo, per più di un’ora, a un continuo tira e molla tra i due, con il desiderio di Max ma la ritrosia di Harry e poi viceversa. C’è una logica nei loro gesti? No, perché il gay Max va a letto con Nikki, la quale è interessata a Harry, che, invece, fa sesso (?) con il maestro di yoga quarantenne di Max, nonché suo vecchio amante. E poi le cose tra i due fratelli si risolvono? No, perché a questo punto il regista Christopher Munch non sa più che pesci pigliare, e ciò è evidentissimo nel terribile finale.
Harry and Max è un raffazzonato centone di temi mal sviluppati: quello principale, l’incesto, per di più con un minorenne, è solo una patina zuccherosa di una patetica storiella d’amore e di affetto tra fratelli; quello musicale, abbandonato a se stesso, poteva, al contrario, offrirci uno sguardo sulla fine del fenomeno delle boy band pop, così in voga negli anni Novanta; quello familiare, con i problemi di Harry con una madre padrona, si affronta e risolve nel giro di una scena, ovvero negli unici cinque minuti in cui la donna compare sullo schermo. Insomma, un fallimento sotto tutti i punti di vista.