Ma quale vita, quale piacere senza l’aurea Afrodite?

15 aprile 2015

Un mistero aleggia su questo libro: apprendo dalla quarta di copertina che l’autore, Nikos Petrou, è di Salonicco (al pari del protagonista, il quale però si chiama Vasilis), quivi ha studiato ed ora vive a Bruxelles; eppure non trovo cenno a un titolo greco del libro né al nome d’un traduttore; quindi Petrou l’ha scritto in italiano? Complimenti: sia perché il romanzo è bello in ogni caso, sia perché l’italiano è limpido e senza sbavature (a parte un poco gradevole bagnasciuga usato nel senso di battigia), sia perché, in qualunque lingua sia stato scritto in origine, può tranquillamente dare lezioni di bella scrittura a tanti autori nostrani.
I giovani scrittori italiani, per motivi che andrebbero meglio ponderati (una raccomandazione al riguardo: basta che, come da ricorrente geremiade professorale o giornalistica, faute de mieux, non si tiri fuori l'usatissimo arsenale della lingua italiana artificiale, non parlata da niuno prima della fatidica unità della patria, e giù a dare la colpa al servaggio della penisola, al feudalesimo, alle litigiosità municipali, allo straniero invasore, alla mancanza di senso civico, alla mancanza di calvinisti, alla penuria di giansenisti, a Petrarca, all'Arcadia, alla Controriforma, magari anche a Quintiliano, Cicerone o Isocrate, e perché non anche al codice di Hammurabi?, se mediamente la narrativa italiana odierna fa abbastanza schifo: come se giganti quali furono Gadda o Primo Levi avessero scritto su Marte, in Baviera o in Arkansas) quando prendono la penna in mano, anzi, considerate le moderne tecniche scrittorie, quando si siedono alla tastiera, pensano di comporre ad ogni temino e compitino una nuova Recherche; per amor di Dio, nessuno si accinge a metter giù un romanzo con l'intima persuasione di scrivere una ciofeca: in tal caso uno, a meno che non sia matto, si risparmia anche la fatica; ma est inter quiddam Tanain socerumque Viselli: e l'aurea mediocrità, come attesta questo simpaticissimo romanzo gay, i greci moderni ce l'hanno ben presente, mentre gl'italiani, pur essendo compatrioti di Orazio, se la sono dimenticata per strada.
Ed è appunto questo il bello di Greco moderno: è un libro che non pretende di sviscerare chi sa quali abissi psicologici, di pennelleggiare chi sa quali affreschi storici, di entrare negli annali delle amene lettere d'ogni tempo; e infatti è un libro che si legge d'un fiato, si gusta voluttuosamente e non pesa sullo stomaco: insomma, è un libro come in Italia non se ne scrivono. Mia fazza mia razza? Magari ai tempi di Mediterraneo: quanto invece vorrei vedere raffigurata con altrettanta semplicità disarmante, ironia, levità e garbo la vita dei nostri universitarî gay, dei liceali gay, dei gay in tempo di crisi economica! Qui c'è gente che manifesta contro la cosiddetta Troika senza dare l'impressione che si stia facendo la storia, ci sono bei ragazzi abbronzati che si lasciano, si prendono, si tradiscono e combinano casotti, ci sono dialoghi frizzanti d'ironia ma pieni anche di gusto vero, non d'imparaticci e colaticci di sceneggiati Mediaset accozzati da ex scolaretti di scrittura creativa che vogliono rifare i Guermantes senza essere mai usciti dal tinello di casa loro.
Il romanzo è pubblicato in una collana pensata per lettori giovanissimi; ma io, che giovanissimo non sono più da un pezzo, l’ho letto egualmente con gioia e entusiasmo, proprio come, uscendo da una stanza chiusa e soffocante, si beve con soddisfazione un bicchiere d’acqua fresca e si respira a pieni polmoni l’aria della primavera.
P.S.: una domanda a chi conosce Salonicco. La Via Tsimiskis più volte citata è dedicata all’imperatore Giovanni I Zimisce? – così se ne traslittera il nome nei nostri testi storici; ma nel libretto dell’Ottone di Haendel, Teofane dice, con forma più aderente alla moderna pronunzia greca “…guarda Cimisco/ il deposito sacro/ della corona, a me tutore e padre”. Si sa, io sono un lettore curioso…
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