recensione diAndrea Meroni
Il disco volante
Anticipando di tredici anni il personaggio del rancido nobilastro baciapile Giovan Maria Catalan Belmonte, protagonista dell'episodio First Aid de I nuovi mostri (1977), Sordi ha impersonato un altro aristocratico debosciato e tossico che non fa altro che chiamare in causa “mammà”. Si tratta del Conte Momi Crosara de Il disco volante, secondo lungometraggio di un Tinto Brass ancora casto e puro, cinematograficamente parlando.
Mentre il Catalan Belmonte decanta ad ogni piè sospinto la sua passione per le “ammucchiate” eterosessuali, il Conte Momi – come ogni checca esangue partorita dalla Commedia all'Italiana – non fa mistero del suo amore per le forze dell'ordine: «Ma guarda come sono carini quei carabinierini nuovi che ci hanno mandati» dice alla sua arcigna madre indicando i gendarmi venuti a ispezionare il giardino della villa di famiglia; questi stanno cercando un equipaggio di marziani sbarcati nella campagna veneta...
Il malaticcio Conte Momi – con il suo esercito di cagnolini, le sue mossette inconfondibili e i suoi occhi perennemente rovesciati – è connotato in modo un po' repellente, benché a pari-merito con le altre figure interpretate da Sordi nel film: un telegrafista ciarliero, un brigadiere col monociglio e soprattutto un pretino avvinazzato e ignorato da tutti. A dispetto delle apparenze, il Conte è un personaggio positivo perché la sua curiosità per ciò che è alieno, esotico e diverso (proprio come lui) lo induce a porsi in contrapposizione con la madre, la Contessa Crosara, che affoga i marziani nel pozzo della villa – come durante la Seconda Guerra Mondiale aveva fatto coi partigiani – per timore che possano sobillare i contadini.
La vecchia contessa, oscurantista impenitente, difende lo status quo, che le permette di campare alle spalle dei suoi braccianti e di ospitare fastosi party relativamente dissoluti (con donne che ballano tra di loro...). Persegue quindi con accanimento l'insabbiamento della notizia che i marziani siano effettivamente sbarcati, frustrando le ambizioni del figlio che i marziani li vuole conoscere a tutti i costi. Esattamente allo stesso modo si comportano prevedibilmente gli altri potenti rappresentati nel film: il superiore del brigadiere diffida quest'ultimo dall'approfondire la questione dell'arrivo del disco volante, mentre il vescovo locale tappa la bocca al prete male in arnese – che i marziani li ha visti – facendolo ricoverare in manicomio.
In manicomio ci finiscono uno dopo l'altro tutti i personaggi interpretati da Sordi; tra di essi, ad apprezzare maggiormente la nuova sistemazione è proprio il Conte Momi, che si è sbarazzato dell'ingombrante madre buttandola a sua volta nel pozzo: «Io mi trovo bene qui, c'è molta comprensione» afferma appassionatamente, ribadendo tanto la propria anormalità semi-patologica (è pazzo in quanto frocio o viceversa?) quanto la solitudine della sua vita precedente (quando era confinato in casa il suo unico amico era la cagnolina Wanda).
Il disco volante è un film abbastanza meritevole, composto da vignette azzeccate e scorrevoli, con un Sordi mutevole e diverso dal suo abituale “se stesso” cinematografico; anche se - per eccesso di istrionismo - non conferisce molta simpatia alla figura del Conte Momi, quest'ultimo rimane comunque un personaggio riuscito, anticonvenzionale nella sua convenzionalità di aristocratica checca.