recensione diElena Romanello
The Dressmaker - Il diavolo è tornato
The dressmaker, campione d’incassi in Australia, non è un film a tematica omosessuale in senso stretto, ma una pellicola dove si intrecciano varie storie di discriminazioni dovute a una mentalità bigotta e reazionaria, nello specifico quello della società dell’isola all’inizio degli anni Cinquanta, soprattutto nelle aree più povere e isolate.
Tutto gira intorno a Myrtle Dunnage, detta Tilly, interpretata da una strepitosa Kate Winslet, che torna dopo venticinque anni nel villaggio australiano da cui fu allontanata perché accusata di aver ucciso il figlio del sindaco, bambino crudele e violento. Tilly, diventata dopo una permanenza a Parigi una bravissima e fantasiosa stilista, cercherà di scoprire cosa è successo davvero, di aiutare la madre, discriminata ed emarginata dagli altri abitanti, ma anche vorrà vendetta per le ingiustizie che ha dovuto subire, prima blandendo le altre donne della cittadina con le sue doti di sarta e poi prendendosi una strepitosa rivincita, in un crescendo esaperato dall’impossibilità malgrado tutto di rifarsi una vita lì dopo aver perso gli unici due affetti che potrebbero convincerla a desistere e rimanere.
Il film inizia come un western classico, all’interno alterna toni da commedia nera e da melodramma, e chiude di nuovo sul western, con un’ottima e spietata catarsi finale, intorno ad un personaggio di donna in anticipo sui suoi tempi (il film si svolge tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta) e ad un’analisi sociale al vetriolo di un ambiente retrogrado e schiavo del più bieco perbenismo, incapace di vedere il male dove c’è davvero e capace di creare capri espiatori in chi non c’entra niente ed è solo vittima.
Tra storie di corna, discriminazioni classiste, bullismo scolastico, bigottismi vari, trova spazio anche un personaggio omosessuale, amante del travestitismo con abiti del genere opposto: il poliziotto Horatio Farrat, interpretato dall’istronico Hugo Weaving, non nuovo a ruoli queer, basti pensare a Priscilla regina del deserto, ha queste segrete inclinazioni, segrete e scandalose, perché ci troviamo sempre nei primi anni Cinquanta in una colonia dell’Impero britannico dove l’omosessualità era ancora reato. E certo nel bigottismo di una comunità scoprire che l’integerrimo poliziotto ama gli uomini e gli abiti stile Christian Dior è un colpo non da poco.
Pur essendo un personaggio bonario, simpatico e certo più affabile della media dei personaggi della storia, anche Horatio verrà toccato dalla vendetta di Tilly, visto che a suo tempo quando fu esiliata non mosse un dito usando la sua autorità giudiziaria per impedirlo ma si inchinò alla logica del più ricco: per cui le sue inclinazioni emergeranno di colpo dopo essere state per un po’ un segreto, in una situazione boccacesca ma decisamente imbarazzante.
The dressmaker è una prova della vitalità del cinema degli antipodi, con una messa alla berlina di mentalità retrograde ancora presenti oggi, pure qui nella vecchia Europa, basti pensare a certi discorsi di politici o presunti intellettuali. Un film da vedere, che si perde un po’ al centro della vicenda ma che sa raccontare una storia di rivalsa e vendetta contro sporcizia fisica e morale vera e arretratezza, per una vita migliore per chi, considerato diverso, viene biasimato fin dall’infanzia. Che sia povero, gay, vittima di violenze o semplicemente con un’altra visione del mondo.