Notte sulla città - Polar vs Poliziottesco

4 giugno 2016

Per uno spettatore italiano abituato alle convenzioni del polizi(ott)esco degli anni Settanta – con i suoi commissari istrionici e moralisti, i suoi criminali frustrati e bercianti, più un contorno di macchiette dialettali – la scoperta del polar francese (poliziesco+noir) è un'esperienza straniante.

Fanno specie, all'individuo educato dai thriller strillati di Umberto Lenzi o di Enzo G. Castellari, i criminali minimali di Jean-Pierre Melville; costoro sono la copia sputata dei taciturni poliziotti che gli danno la caccia, e con essi condividono una totale assenza di motivazione e di vitalità, tanto che – a tratti – guardie e ladri sembrano dialogare telepaticamente di esistenzialismo e incomunicabilità.

Notte sulla città di Melville è una sintesi talmente perfetta del gelo stilizzato proprio del polar da sconfinare (ma è proprio una questione di millimetri) nel terreno dell'auto-parodia.

I personaggi abusano un tantino di stoicismo: i banditi imbottiti di piombo si concedono al massimo un impercettibile grugnito e qualche goccia di sudore, mentre le loro signore pongono domande di circostanza con gli occhi preventivamente lucidi, con la tacita consapevolezza che la loro dolce metà non sopravviverà oltre i 95 minuti della durata del film.

Le parti migliori sono quelle in cui i personaggi tacciono per delle buone ragioni, visto e considerato che altrove il gusto di Melville per i dialoghi lapidari (o meglio, per i non dialoghi) ha perso l'aura della novità e puzza un po' di manierismo, come nel caso delle frigide interazioni tra il commissario Alain Delon, il rapinatore Richard Crenna e la donna di entrambi, Catherine Denevue. Per fortuna le sequenze legittimamente silenziose predominano su quelle verbalmente poco ispirate e si fanno ricordare con un piacere di gran lunga maggiore.

Storicamente la rappresentazione di rapine congegnate con sovrumano perfezionismo è una manna per i registi che desiderano realizzare pezzi di bravura muti (vedi Rififi) o, al limite, con monosillabi da sala operatoria. In Notte sulla città Melville, giunto al suo ultimo film, orchestra due colpi grossi – tradizionali ma ricercati – che meriterebbero di essere studiati dagli studenti di Scienze della rapina a mano armata.

Nel primo caso, è proprio l'assenza di spettacolarità a far risaltare la destrezza di Melville, pari a quella del quartetto di malviventi che svaligia una banca con rigore e competenza mentre per le strade infuria un acquazzone. Nel secondo caso, il capo dei banditi (Richard Crenna) si fa calare da un elicottero su un treno dove viaggia un corriere della mala carico di droga; più dell'inseguimento tra i modellini del treno e dell'elicottero, a magnetizzare lo spettatore – per venticinque minuti in cui non viene proferito verbo – è l'eccezionale pianificazione dei passaggi che conducono al furto.

Ma il crimine tendenzialmente non paga, e neppure l'intelligenza, infatti le attività criminose di Richard Crenna e dei suoi bravacci, tra cui un tramortito Riccardo Cucciolla, non hanno un esito più felice delle rapine alla “Evviva il parroco” in stile Il mucchio selvaggio.

Nell'assalto alla banca, l'anello debole del quartetto rimane ferito e viene successivamente liquidato in ospedale per evitare che “canti”, mentre, a seguito della seconda birbonata, basta la confessione di uno dei tre superstiti (verosimilmente torturato off-screen dal poco sportivo commissario Delon) ad annientare le speranze di Crenna e Cucciolla, che si auto-eliminano senza un lamento.

Insomma, in questo film la polizia francese – che sevizia e che spara per prima – fa maledettamente paura a tutti quanti, mentre al di qua delle Alpi i commissari spicci e severi come quello interpretato da Delon (ritratto da Melville senza la minima simpatia) cominciano, con l'evoluzione del poliziottesco, a essere messi su un piedistallo in contrapposizione a una polizia descritta come debole coi forti e forte coi deboli, specie in film ben più ambiziosi rispetto al cinema di genere; basti pensare all'orribile commissario impersonato da Gian Maria Volontè in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (due anni prima di Notte sulla città): costui si delizia di vedere accusato il marito della sua stessa vittima (Massimo Foschi), un bersaglio estremamente facile in quanto omosessuale e quindi sbranato con oscena violenza dagli agenti che lo interrogano.

Ma in materia LGBT anche i super-poliziotti del cinema di genere nostrano – forti coi forti e deboli coi deboli, oppure forti con tutti – non hanno mostrato un maggior tatto del personaggio di Volontè, sia che fossero funzionari progressisti come il Commissario Parrino di Un uomo, una città, sia che fossero dei rauchi coatti come il Maresciallo Giraldi di Squadra antitruffa, sempre lesti a rimbrottare e/o sbeffeggiare gli omosessuali che gli capitavano tra le mani.

È interessante a questo proposito fare il confronto con l'Alain Delon di Notte sulla città, sempre poco cerimonioso nel distribuire schiaffoni. Entro i primi venti minuti del film lo troviamo intento a conversare con un azzimato pederasta cinquantenne in vestaglia di velluto1 (Jean Desailly), immerso nel suo regno di giapponeserie e lampade di quarzo. Questi ha rischiato di essere derubato da una marchetta ossigenata, che – per costringere il suo maturo compratore a non denunciarlo – gli ha svelato di essere minorenne. Il cinquantenne ha deciso di ricorrere comunque alle forze dell'ordine anche a costo di essere accusato di corruzione di minore; quando Delon gli fa notare che per tale reato si viene condannati solo se recidivi, il raffinato pederasta gli dice con una venatura di sofferente orgoglio: «Lo siamo tutti».

Se il personaggio non è granché innovativo né nel look, né nel décor della sua magione, né nei suoi manierismi, è curioso – almeno per il solito spettatore italiano – il modo equanime con cui Delon (“rinomato” per la sua omofobia nella vita reale) si relaziona con lui: non un commento sprezzante o un'allusione maligna... solo un'aria profondamente annoiata per una tipologia di caso che, evidentemente, incontra tutte le settimane. L'atteggiamento non muta neanche nei confronti della marchetta, che lo guarda vogliosa e strafottente, laddove un Maresciallo Giraldi o un Commissario Parrino avrebbero speso parole di fuoco per condannare la compravendita di natiche.

Molto più affascinante è il rapporto tra Delon e Gaby, una prostituta trans informatrice della polizia, interpretata – con un'arguta scelta di casting – da una donna biologica (Valérie Wilson), “mascolinizzata” da un trucco molto pesante e doppiata nella versione italiana con una soffusa voce maschile, mentre nella versione originale ha un tono da contralto autentico. Questa Gaby raggiunge il commissario a bordo di un'auto con guida a destra, la qual cosa è in qualche modo speculare al fatto che il pederasta di cui sopra viva in una casa arredata con gusto orientaleggiante: gay e trans, anche se autoctoni, sono sempre presenze estranee, centrifughe o “esotiche”. Dopo che Gaby ha fatto la sua brava delazione, lei e Delon si scambiano uno sguardo che va ben oltre (anche all'occhio di uno spettatore che non voglia per forza leggerlo in quel senso) la semplice intesa. Ma questo fatto non viene in nessun modo strumentalizzato per gettare discredito sul personaggio di Delon2, come invece succede nel celebre Milano rovente (1973) di Umberto Lenzi, dove un criminale soprannominato – guarda caso – Il Francese viene ridicolizzato per essere stato sorpreso a letto con un travesta da un suo collega siculo, il quale ha modo di esclamare trionfante: «Minchia... pure finocchio è il Francese!».

Verso la fine del film, Gaby viene condotta in commissariato, ove la attendono le sberle di Delon, il quale la incolpa di avergli dato informazioni false nella sua ultima soffiata. Per rafforzare le sue minacce, Delon le dice che ora dovrà tagliarsi i capelli e rimettersi i vestiti da uomo «come ti compete», per poi preannunziare che la farà finire in gattabuia in qualità di travestito adescatore, così imparerà a fare bene il suo mestiere... «l'informatore, non quell'altro», anche perché già immaginiamo che Delon non abbia motivo di dirsi deluso dalle capacità di Gaby come “intrattenitrice”. A questo punto la sventurata – scacciata, frastornata e ferita – se ne va col magone, delusa dal suo commissario bello e terribile, ma anche da se stessa per essere caduta in disgrazia ai suoi occhi.

In questo caso quindi sono significativi tanto il modo di Delon di relazionarsi con lei (la rinnega e la getta via come un limone spremuto appena non gli serve più, con appena un po' di rammarico nello sguardo) quanto la caratterizzazione di Gaby medesima. Questa trans triste e debole non potrebbe essere più diversa dai faceti, scervellati e squallidi travestiti che troviamo nei film coevi nostrani, da La polizia ringrazia a Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile, entrambi peraltro del 1972.

NOTE:

1 Già Un maledetto imbroglio (1959) di Pietro Germi ci ha reso edotti riguardo al significato recondito delle vestaglie: un sudaticcio commendatore viene derubato, ma minimizza l'avvenimento e perde la calma quando sui giornali viene descritto come «distinto signore di mezza età che, al momento della rapina, indossava una stravagante vestaglia»; imbarazzatissimo, chiede all'inquirente se ha capito cosa questo significhi, ma quest'ultimo lo ha già intuito da un pezzo: il commendatore – notorio tra i burini del quartiere che si danno di gomito quando lo vedono – non solo è scapolo, tiene in casa degli inequivocabili paraventi e chiede pietà al commissario in nome di sua madre, ma si rifiuta addirittura di contribuire all'identificazione del colpevole del furto, perché questo implicherebbe il fatto di comparire di fronte a un folto gruppo di “ragazzi di vita”, che lo conoscono fin troppo bene. La simmetria col distinto gentiluomo di Notte sulla città è quindi eclatante.

2 C'è da precisare però che, fino a questo punto, lo spettatore che stia sentendo il film in lingua originale potrebbe anche non essersi accorto del transessualismo di Gaby, che viene affermato con certezza ben più avanti.

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