Nerone e la sua cortigiana Giò Stajano

17 luglio 2016

Nerone, il secondo film del Bagaglino dopo Remo e Romolo – Storia di due figli di una lupa, è uno spettacolino a base di classici qualunquismi e di scialbi anacronismi parodistici, roba da mandare Mel Brooks in analisi per anni per sanare i sensi di colpa procuratigli dalla sua indegna progenie, all'interno della quale Castellacci e Pingitore si segnalano per mancanza di vergogna.

Tra le tante colpe del film c'è quella di aver offerto un veicolo per la mortificazione corporale e spirituale a tre grandi nomi del cinema italiano chiaramente in vena di autolesionismo. I tre grandi, bisognosi di essere protetti da se stessi, sono:

  1. Aldo Fabrizi – che di lì a poco avrebbe ricevuto il colpo di grazia da Il ginecologo della mutua – camuffato da “generale Galba” e caratterizzato con essenzialità da un unico tratto, la grave stipsi che lo affligge e che riempie tutte le sue battute;

  2. Paola Borboni, un'Agrippina appiccicosa e in vena d'incesto pronta a offrire – in un accesso di disturbante autoironia – il suo nudo seno settantaseienne al figlio Nerone, interpretato per giunta da Pippo Franco: un incubo doppio, insomma;

  3. Paolo Stoppa, nei panni di San Pietro, ormai fossilizzato nel ruolo del vecchio scorbutico e ben poco coinvolto in quello che fa o dice.

La guest star più interessante tra quelle coinvolte nel Nerone è probabilmente Giò Stajano, con in testa una parrucca a forma di menhir e “vestito” in stile Theda Bara, cioè con una corazza minimale con un piccolo cono metallico a mo' di reggipetto, là dove cinque anni dopo un chirurgo milanese avrebbe edificato un seno della quarta misura. Stajano era stato collega di Pier Francesco Pingitore nella redazione de Lo Specchio prima (tra il '60 e il '62) e di Men poi (dopo il '67); di quest'ultima rivista – che nel corso degli anni aveva subito una virata pornografica – Stajano era anche stato nominato direttore responsabile, subendo vari procedimenti giudiziari tra il '74 e il '78 per aver turbato il comune senso del pudore con le “sue” oscene pubblicazioni.

Nel '76 Alberto Sordi aveva voluto inserirlo – con una bella intuizione di scuola felliniana – proprio nel cast de Il comune senso del pudore, all'interno di un episodio in cui lo sprovveduto Cochi Ponzoni viene cinicamente nominato direttore responsabile della rivista equivoca La Libertà (di cui Stajano, nella finzione, è art director) ed è sistematicamente portato via in manette dalla sede del giornale. Ad osservarlo con sguardo poco empatico durante gli arresti c'è la machiavellica e mascolina editrice, interpretata da Florinda Bolkan; tale figura ricalca la spregiudicata Adelina Tattilo, artefice – appunto – di Men, ma anche di Playmen e, negli anni '90, di Adam, consacrata al nudo maschile.

Anche il personaggio affidato a Stajano nel Nerone di Castellacci e Pingitore ha delle implicazioni autobiografiche per più di una ragione: il “cocottesco” Sporo (così lo definisce Stajano nella sua prima autobiografia La mia vita scandalosa) è il “frocio di corte”, comparsa plaudente all'interno della variopinta corte di degenerati cari a Nerone... praticamente lo stesso ruolo che Stajano aveva ricoperto brevemente ne La dolce vita1 e subito dopo in Totò, Peppino e la dolce vita, dove aveva l'incarico di mettere le mani addosso a Peppino De Filippo e di sentirsi chiamato in causa in occasione della micidiale battuta «La vita è fatta di cose reali e di cose supposte: se le reali le mettiamo da una parte, le supposte dove le mettiamo?». Giò fa capire di sapere la risposta, come se il pubblico ne dubitasse.

Un altro riferimento al “torbido” passato di Stajano si ha nell'escamotage usato dal filo-neroniano Petronio per umiliare il prefetto cospiratore Tigellino (Gianfranco D'Angelo) agli occhi del vecchio Galba: Stajano/Sporo convince Tigellino ad andare a letto con lui in cambio della consegna del fuggitivo Nerone, ma sul più bello (o forse dopo, conoscendo il lussurioso Sporo) Galba viene introdotto nella stanza dove il prefetto viene disonorevolmente sorpreso con le mani nel sacco; seguono battute anocentriche. L'autobiografismo di questo episodio sta nel fatto che all'inizio degli anni '60 Stajano era stato effettivamente usato dal direttore de Lo Specchio, Giorgio Nelson Page, per danneggiare la reputazione di un democristiano ministro del Turismo e dello Spettacolo: Giò aveva l'incarico di farsi paparazzare in compagnia del ministro seguendolo ovunque egli andasse, cosicché le pagine de Lo Specchio pubblicassero gli scatti incriminati con didascalie insinuanti.

Nel '62 era stato invece pagato dai complici di un ambizioso generale perché alloggiasse nello stesso albergo di un capo di stato maggiore dell'esercito e perché lo avvicinasse con un pretesto, in modo tale che i servizi segreti si facessero “strane idee” sul malcapitato, che di lì a poco fu rimpiazzato dal generale che aveva architettato lo stratagemma2.

Il Nerone di Castellacci e Pingitore si fregia anche della partecipazione di Franco Caracciolo, specialista nell'interpretazione di omosessuali lampanti; costui interpreta una cortigiana transessuale che afferma di essersi operata a Casablanca, anticipando la sorte di Stajano che cambiò sesso in una clinica marocchina nell'82. Caracciolo appare anche nel precedente film bagaglinesco Remo e Romolo – Storia di due figli di una lupa, dove interpreta un prostituto – giunto a Roma con molti altri colleghi – che prospera data l'assenza di donne nell'Urbe appena fondata: servirà il Ratto delle Sabine per salvare gli iper-virili romani dall'omosessualità di compensazione, da sempre manna per i veri invertiti.

Al di là della sapida scelta di Stajano per il ruolo di Sporo (che poi reciti decentemente è un altro discorso, sul quale è meglio glissare), il Nerone del Bagaglino non offre altri spunti di riflessione; del resto mettere le parole “riflessione” e “Bagaglino” nella stessa frase è una scelta anche troppo audace.


1 Fellini l'aveva sostituito con un suo anonimo “clone” dopo aver constatato che Stajano non era disponibile a farsi rimodellare in chiave grottesca, rifiutandosi di effettuare uno scimmiesco salto da una sedia durante un party.

2 Entrambi gli episodi sono raccontati da Giò Stajano anche nell'intervista concessa ad Andrea Pini per Quando eravamo froci.

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