Nessuno è perfetto

11 agosto 2016

C'è stato un periodo a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta in cui Renato Pozzetto ha tentato la sorte proponendosi come insegnante di educazione sessuale per quegli eterni bambini che sono gli italiani. I titoli più rappresentativi di questo suo “secondo lavoro” – premiato da incassi miliardari – sono sicuramente La patata bollente e Nessuno è perfetto, due film mirati alla decostruzione dei luoghi comuni sulle “diversità”, rispettivamente omosessualità e transessualismo. Il primo è firmato da Steno, il secondo da Pasquale Festa Campanile; quest'ultimo è sempre stato molto solleticato dalle declinazioni della sessualità, a partire dall'ispirato Le voci bianche per arrivare al malriuscito Culo e camicia (sempre con Pozzetto nei panni di un invertito sulla via della redenzione), passando per La sculacciata, un Kamasutra for dummies.

Come valutare le lezioni impartite da Pozzetto, che già in Paolo Barca, maestro elementare, praticamente nudista si era trovato a dover rispondere, senza averne i titoli, ai quesiti pruriginosi/innocenti di un'orda di bimbetti sfacciati? Sul piano della chiarezza del messaggio i risultati sono discreti sia ne La patata bollente sia in Nessuno è perfetto. La loro morale si può scrivere su un francobollo, e meno male, perché su questi temi tergiversare è controproducente: «Gli omosessuali non sono diversi da chicchessia» spiega il primo film; «un uomo diventato donna è una donna» afferma il secondo. Un totale di quattordici parole.

I passaggi logici con cui si perviene a questi insegnamenti sono ben delineati in entrambi i film, e anche lo spettatore più ottuso non può rimanere del tutto immune alla loro retorica biginesca (ma se oltre che ottuso è fazioso, non cambierà opinione né con trattati né con encicliche, figuriamoci con due commedie ramazza-soldi). Sul piano della riuscita formale però è La patata bollente a risultare vincitrice: la sceneggiatura di Giorgio Arlorio (più Vanzina padre e figlio) mette al bando i pozzettismi meno ispirati, che invece punteggiano impunemente lo script di Nessuno è perfetto (firmato da Oldoini, Ferrini e Pozzetto), di gran lunga più negligente e con alcune vette di trascuratezza. Eccone una: il proteiforme Renato stavolta viene presentato come un ricchissimo conte bergamasco, Guerrino Castiglioni (e sorvoliamo sul fatto che i suoi modi non siano troppo differenti da quelli dell'operaio Bernardo Mambelli de La patata bollente); quando Guerrino descrive se stesso di fronte alla sua futura dolce metà, Chantal, dice così: «Cioè, allora, io sono nato nell'immediato dopoguerra da una famiglia medio-borghese». Quale conte svilirebbe così i propri natali? Probabilmente Festa Campanile sta lasciando che Pozzetto blateri a ruota libera come spesso gli era richiesto in quegli anni di iper-lavoro. Ma se questo è accettabile nelle sue pellicole più routinarie, qui è più grave: in un film “a tesi” le parole dovrebbero contare di più.

La “rilassatezza” dello script perdura fino a che Nessuno è perfetto non entra nel fulcro della sua missione educativa, che inizia quando il conte Guerrino apprende che la fotomodella Chantal, sua fresca sposina, è in realtà una transessuale, la quale fino a tempi non troppo remoti vestiva una divisa da paracadutista e si chiamava Hans Mario.

Il ritmo del film esce infatti dall'impasse appena il conte Guerrino entra nel vortice del dubbio (e quasi annega nella confusione degli articoli determinativi e indeterminativi, per non parlare dei pronomi: lei è “lui” o “lei”?). L'iter del neo-sposo perplesso è lo stesso del Mambelli de La patata bollente, suddiviso in due “semplici” passaggi: 1) imparare a valutare la persona “diversa” non in base alla presunta diversità; 2) riuscire a convivere col giudizio degli ignoranti.

Se il primo step viene completato gloriosamente pur senza eccessi di finezza (Guerrino supera la “sindrome del pene fantasma” e capisce che sua moglie è la persona che ha davanti agli occhi, né più né meno), il secondo passaggio è aggirato maliziosamente: se Guerrino non deve più preoccuparsi dei veleni dei suoi grezzi compaesani – sobillati dalla velenifera suocera del conte, la grande Lina Volonghi – è solo perché questi si sono convinti che Chantal sia sempre stata donna.

Per fortuna di Guerrino, Chantal è sia donna che santa: ha infatti acconsentito a far credere al popolino di aver tradito il marito con un commerciante dongiovanni (Gabriele Tinti); si ribellerà solo quando Guerrino – in un'escalation di ipocrisia – deciderà di farle simulare una gravidanza. L'intervento di un amico illuminato (Felice Andreasi) indurrà Guerrino a fare ammenda e a riconquistare la moglie, adottando il figlio da lei avuto quando era ancora paracadutista. Nel frattempo il commerciante dongiovanni ha fatto il suo dovere e ha confortato l'intera cittadinanza bergamasca sul fatto che Chantal abbia tutto ciò che una donna dovrebbe avere; questa convinzione è favorita dal fatto che Chantal sia interpretata... da Ornella Muti (convinta se non convincente); questa scelta di casting, a metà tra il geniale e il delirante, di sicuro indora la pillola per lo spettatore medio, il quale – esattamente come Guerrino – si “accontenta” di credere a ciò che vede, pensando che, se tutte le trans sono così, allora c'è da metterci la firma...

L'“indoramento delle pillole” è una prassi educativa tanto comoda quanto sleale; comunque è ingiusto insinuare che il messaggio edificante di Nessuno è perfetto ne sia completamente offuscato. C'è da dire però che La patata bollente ha un altro punto di vantaggio rispetto a quest'altro film “didattico”: il fatto che a interpretare l'Omosessuale (la maiuscola è d'obbligo, essendo una figura esemplare) sia stato chiamato Massimo Ranieri, il quale non è né troppo bello né troppo brutto, né troppo sopra le righe né troppo sotto. Insomma, è verosimile, e la verosimiglianza, al cinema, vince su tutte le pillole indorate.

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