recensione diAndrea Meroni
Rapina record a New York
«Sui 45, tracagnotto, frocio». Fag in lingua originale. Con queste parole ingenerose (anche se l'età è arrotondata per difetto) un portiere bigotto descrive il festoso antiquario omosessuale Tommy Haskins, interpretato in The Anderson Tapes dal grande caratterista newyorchese Martin Balsam, prodigo di manierismi da sissy. Questo personaggio caricaturale – doppiato in modo esuberante da Sergio Graziani – non ha niente da invidiare ai suoi omologhi italiani: è il clone dell'antiquario “provolone” (Werner Peters) inserito gratuitamente da Dario Argento ne L'uccello dalle piume di cristallo. Di più ha soltanto un toupet a coda di volpe che non inganna nessuno.
Haskins è veramente una checca da manuale sotto ogni profilo, tanto che lo si direbbe costruito seguendo un'ipotetica Normativa internazionale per la rappresentazione del gay effeminato:
è misogino, infatti tratta a pesci in faccia la sciatta commessa del suo negozio, minacciandola di “graffiarle gli occhi” quando costei commenta sprezzante il fraterno abbraccio tra Haskins e Duke Anderson (Sean Connery), vale a dire il briccone gay friendly che dà il titolo al film e che è venuto a proporre al pacioso antiquario di partecipare alla rapina a un condominio popolato da facoltosi professionisti;
è sessualmente vorace e non va troppo per il sottile nella scelta dei partner, tanto è vero che quando Anderson intima a un energumeno butterato dal grilletto facile (Val Avery) di “tenersi l'affare in tasca”, Haskins commenta gongolante «Beh, questo lo decideremo dopo»;
è decisamente pavido, infatti – quando la rapina organizzata da Anderson comincia ad andare a rotoli – chiede implorante di essere lasciato indietro dai suoi complici per aspettare (compitamente seduto e con le mani già alzate) l'arrivo delle forze dell'ordine.
Il coinvolgimento di Tommy Haskins nella rapina consiste nel penetrare con l'inganno negli appartamenti degli inquilini del condominio, così da prendere nota di tutti gli oggetti di pregio presenti in ogni casa. Durante una di queste incursioni, Haskins si imbatte in un architetto di inenarrabile effeminatezza, che vive in una specie di tempio indiano (dato che i gay son tutti orientalisti). I due rimangono ammaliati dalla rispettiva checcaggine, e si contemplano in una scena di riconoscimento che ricorda quella di un altro film di Dario Argento, Quattro mosche di velluto grigio. Qui un detective omosessuale (Jean-Pierre Marielle) si imbatte in un portiere di uno stabile (Corrado Olmi) che condivide il suo orientamento ed è subito amore a prima vista: li ritroviamo subito dopo intenti a prendere il tè e a sventagliare i propri polsi tra mille moine.
The Anderson Tapes è un heist movie più che dignitoso, di fattura elegante, ma non è sicuramente uno dei film più avvincenti prodotti da Sidney Lumet. Il suo “pallore” è dato da almeno tre ragioni: la prima è che la dinamica della rapina non è articolata in modo particolarmente spettacolare. La seconda è che il leitmotif del film, cioè la pervasività della sorveglianza audiovisiva e delle intercettazioni (tema molto caldo all'epoca), alla fine risulta abbastanza irrilevante. La terza ragione è che la sceneggiatura di Frank Pierson (costruita sul romanzo omonimo di Lawrence Sanders) pensa principalmente a collezionare personaggi macchiettistici: oltre a Haskins si contano anche il portiere redneck razzista e omofobo, le due vecchine isolate dal mondo, l'anziano galeotto che non è più capace di vivere fuori dal carcere, il ragazzino fissato con l'elettronica e via riciclando.
Sean Connery (che sfoggia la sua pelata work in progress) è convincente, ma molto sotto le righe, il che non aiuta il film a guadagnare in memorabilità. L'immagine più indimenticabile (almeno per un cultore del camp) è la prima inquadratura in cui si vede Tommy Haskins, il quale va incontro a Duke Anderson accompagnando un'espressione di meraviglia con un assurdo movimento del collo, che rotea stretto da un foulard aristocraticamente annodato. Le prime parole che Haskins rivolge al vecchio amico sono: «Sapevo che saresti venuto a dirmi di aver fatto l'operazione!». Come, prego?