recensione di Marco Valchera
La Musa
Ida Perkins: è lei l’ossessione e la musa di Paul Dukach, editor di una casa editrice di nicchia, la P&S, di proprietà dello spavaldo e spregiudicato – tanto con le donne, quanto con gli scrittori – Homer Stern. Ida Perkins è la quintessenza della poesia: autrice spregiudicata e femme fatale, con le sue opere ha raggiunto la vetta del successo e il cuore di Paul, il quale si butta a capofitto nel suo lavoro, ponendo in secondo piano la sua complicata vita amorosa. Egli non riesce a trovare un uomo che lo renda pienamente felice, felicità che, però, raggiunge nella letteratura e nel custodire e proteggere gli autori da lui pubblicati. Tutto cambia quando l’anziano editore di Ida e grande nemico di Stern, Sterling Wainwright, gli confessa di possedere dei diari appartenenti ad Arnold Outerbridge, da poco scomparso e amante della poetessa. Alla fine Paul incontrerà a Venezia la propria musa e, da quel momento, complice un ultimo manoscritto che cela un profondo segreto della vita della Perkins, la vita di Paul cambierà del tutto, anche a causa della nascita dell’editoria digitale e di incerte relazioni amorose.
La penna di Jonathan Galassi, presidente della prestigiosa Farrar, Straus and Giroux e editore di autori quali Jonathan Franzen e Michael Cunningham, è esperta ed elegante, ma La Musa, suo romanzo d’esordio, non è entusiasmante: se da un lato il sottoscritto è andato a ricercare su Google se la Perkins fosse realmente esistita in quanto la sua biografia è talmente approfondita – con tanto di bibliografia fittizia finale – da risultare verosimile, dall’altro è proprio questo il punto debole dell’opera. Più che un testo narrativo, sembra di leggere un testo espositivo, quasi una voce enciclopedica su Ida Perkins: si susseguono pagine e pagine di biografia, con un elenco infinito di nomi di personaggi secondari, tra cui autori, editor, agenti, mariti, e con il ritratto di un mondo editoriale senza scrupoli e ricco di gelosie e arrivismo descritto nei minimi particolari, come all’interno del capitolo sulla fiera libraria di Francoforte. La Musa è un esordio ben scritto ma freddo e poco coinvolgente: della vita di Paul e della sua omosessualità, salvo un accenno, si parla solo nelle ultime belle pagine che lasciano, quindi, un po’ l’amaro in bocca perché arrivano troppo tardi, rivelando un fremito narrativo che per due terzi del romanzo è rimasto sopito. La relazione con l’aitante Rufus, ad esempio, è giocata sull’interessante parallelismo con il lavoro di Paul: lui, portavoce dell’editoria tradizionale, che ama e tutela i propri autori, e l’amante, emblema della rivoluzione digitale, a cui non interessa l’autore in quanto essere umano, ma in quanto produttore di un’opera. Ma anche tale aspetto è sviluppato solo nel finale, nel momento in cui Paul ha da poco pubblicato con orgoglio l’ultima raccolta poetica di Ida, Mnemosyne, che cela un amore giovanile e segreto della poetessa. In questo pecca Galassi: ci offre un’inedita focalizzazione interna al mondo dell’editoria americana con i suoi scandali e le sue scaramucce ma, nella sua ricostruzione razionale, si dimentica del lettore e di ciò che rende appassionante la lettura di un romanzo. Ed è un peccato, perché il talento c’è – si vedano anche le toccanti liriche attribuite a Ida – e Paul, uomo insicuro e sensibile, si meritava una maggiore caratterizzazione.