recensione diAndrea Meroni
Solamente nero
Un assassino eclettico e brutale in mezzo a tanti volti colpevoli, tra le ombre e le “ombrete” di una Venezia sicuramente nera, ma non solamente, visto che nella pregevole fotografia di Mario Vulpiani imperversa un verde acqua limaccioso come le coscienze di quasi tutti i personaggi, fino all’ultima lombrosiana comparsa.
Il regista Antonio Bido – il cui mestiere si è affinato rispetto al suo giallo d'esordio, Il gatto dagli occhi di giada – gioca abilmente con le facce e con gli scorci, escogita con abilità e contenuto sadismo gli omicidi notturni e riesce a non annoiare quando gli straniti protagonisti (tra i quali risalta il tormentato prete Craig Hill, fratello dell'angosciato Lino Capolicchio) indagano aggirandosi pallidi e assorti nella livida luce diurna.
Tra le prime vittime figura il turpe Conte Mariani (Massimo Serato, ottima scelta!) – ennesimo frutto bacato di una stirpe logorata dall'alcool, ci dicono dalla regia. Costui si balocca con l'occultismo e la pedofilia, praticando quest'ultima senza troppa discrezione (tutta la città ne parla, o – meglio – ne sussurra), usando come paravento delle lezioni di piano: il suo allievo prediletto è un ragazzino con una scriminatura disturbante e un colorito tanto cereo da sembrare dissanguato dal suo docente troppo... esigente. Quando Don Craig Hill viene a rimproverarlo per i propri sordidi hobbies («La mia anima si sporca anche solo a sentirLa»), il Conte perde le staffe e – dimenticando che Madama Sfiga è sempre in ascolto – invita il prete a non entrare in casa sua nemmeno per l'estrema unzione: preferisce andare all'inferno, dice. E infatti di lì a non molto sarà esaudito...
Il Conte – che ha vari punti in comune col sospettissimo personaggio interpretato da José Quaglio in un altro bel giallo di ambientazione veneziana, Chi l'ha vista morire? di Aldo Lado – ha anche un gregario/toy-boy di nome Thomas, un ragazzone incipriato vestito in modo dandesco con tanto di fazzolettone rosa. Questi, oltre a versargli copiosamente il J&B, presumibilmente si rende utile all'aristocratico anche in altri modi, specie quando questi è un po' giù di corda. Ciononostante, nel lasso di tempo in cui si svolge la narrazione, i due non vanno più molto d'accordo: Thomas si sottrae ripetutamente ai propri doveri para-coniugali, e pianta in asso il Conte – lasciandolo solo per andare a fare i propri porci comodi tra le calli – nel supremo momento del bisogno, ovverosia subito prima che un'alabarda avita gli squarci il petto. Una morte non incruenta, ma senza dubbio più nobiliare rispetto a quella che verrà riservata alla gran parte dei suoi “compagni di merende”.