Testa o croce

23 febbraio 2019

Testa o croce di Nanni Loy è forse il più dignitoso tra i movie-movie girati nei primi anni Ottanta, non tanto in forza dell'episodio con Renato Pozzetto, La pecorella smarrita, quanto per merito dell'intelligente Il figlio del Beduino.

Annunciato nelle interviste dal suo protagonista, Nino Manfredi, come un racconto che tratta «il dramma dell’omosessuale con episodi molto divertenti ma in maniera civile e piena di rispetto verso la condizione», Il figlio del Beduino una volta tanto non tradisce le aspettative, anzi – considerando che l'anno prima era uscito il discutibile Culo e camicia – le supera almeno un pochino. Niente di trascendentale, beninteso, ma comunque una storiella agrodolce oggettivamente rispettosa e abbastanza sfumata.

Il personaggio del titolo è Marco, un bel ragazzo di diciassette anni (Claudio Aliotti, allora celebre volto dei fotoromanzi), figlio unico di un operaio asfaltista vedovo (Manfredi), soprannominato Beduino, persona dolce e benintenzionata ma ignorante all'inverosimile. Marco è l'ultimo discendente di una dinastia di machi erotomani, incarnata non tanto dal Beduino, che ha solo un'amante ufficiale, Stefania (una selvatica Ida Di Benedetto), quanto dal nonno stalinista, spione e puttaniere, interpretato da un Paolo Stoppa tutto intento a bearsi della propria turpitudine.

Di Marco veniamo subito a sapere due cose: 1) è una fulgida promessa del calcio, e ciò lo rende appetibile all'altro sesso; 2) ha un forte risentimento nei confronti della donna del Beduino, rea di aver troppo presto soppiantato la madre, morta quando lui aveva poco più di dieci anni. La terza cosa che apprendiamo, attraverso gli occhi attoniti del Beduino, è che Marco – anche a casa propria – non accenna a rinunciare al cameratesco rituale di fare la doccia coi propri compagni di squadra, in particolare con un coetaneo snello e baffuto, col quale ha un particolare affiatamento anche sul campo di calcio.

Il Beduino è impietrito da questa visione di tenerezze subacquee e chiede lumi a un medico della mutua (Maurizio Micheli) per sapere se esista una “curetta” per l'omosessualità, che attribuisce a se stesso per discrezione. Il medico tenta di rassicurare il Beduino sulla naturalità di questo misterioso fenomeno, col solo risultato di confondergli ancora di più la mente già abbastanza ottenebrata; il medico cerca poi maldestramente (del resto è un ortopedico...) di indagare sulle cause di questa sua tendenza, al che veniamo informati del fatto che, nella promiscuità della casa dove il Beduino era cresciuto, lo stesso Beduino era rimasto vittima dell'“inchiappettamento incrociato”.

Dopo questo godibile siparietto di salubre grossolanità, il Beduino – in pausa pranzo con i propri colleghi asfaltisti – ripete a modo proprio le nozioni apprese dal medico (col risultato che l'“ermafroditismo congenito” di cui quest'ultimo discettava, diventa “ermafrocitismo con gemito”) e con grande capacità di persuasione li convince che il “problema dell'omosessualità” debba essere portato all'attenzione dei sindacati.

Ma la parentesi progressista del Beduino ha vita breve, perché – esaurito il potere taumaturgico delle parole del medico – la paranoia torna a impossessarsi di lui: ha persino delle allucinazioni (non annoverabili tra i momenti più raffinati dell'episodio) in cui vede il figlio in abiti femminili, vestito da sposa o con un reggiseno che fa capolino sotto la maglietta da calciatore. Tenta senza successo di spingerlo tra le braccia di una cameriera ciociara (semianalfabeta ma dotata di un linguaggio corporeo molto espressivo), dopodiché sabota la sua trasferta in compagnia del suo compagno di squadra prediletto, incassando il giustificato odio di Marco.

La discesa agli inferi del Beduino si interrompe solo quando Stefania gli rivela che Marco, con la scusa di aiutarla a mettere lo smalto per le unghie, l'ha palpeggiata in preda di un'inopinata curiosità. Il Beduino è rinfrancato ma ora la gelosia prende il sopravvento sulla paura.

Segue un finale leggermente ambiguo: il Beduino lascia artatamente soli Marco e la sua amante, per poi diventare una furia quando li vede in lontananza mentre si abbracciano. Alcuni critici – a mio avviso sbadati – hanno letto la scena come la conferma della “redenzione” di Marco, dimenticandosi di prestare la debita attenzione alle parole che Stefania sussurra a Marco prima che il padre faccia irruzione: «Non fare così... adesso ci sono io, ti aiuto io», dice accarezzandolo, dopo che lui ha ammesso la propria confusione mentale, evidentemente sul piano sentimental-sessuale. La sceneggiatura – con un'astuzia forse poco coraggiosa – non mette in bocca a Marco un vero e proprio coming out, ma lo lascia intuire.

La macchina da presa preferisce non indagare, e segue il Beduino, scortato dal fratello scimunito di Stefania (Leo Gullotta). Il nostro eroe si è ormai ingenuamente rassicurato sulle inclinazioni sessuali del figlio, ma – tra i fumi dell'alcool – sbraita contro le donne che «sono tutte mignotte», come le commedie italiane non mancano mai di ripetere.

In mezzo allo squallore della periferia romana, il Beduino piange sul proprio destino: «Nessuno mi vuole bene», afferma. Ma il fratello di Stefania lo corregge: lui sì che gli vuole bene. Inneggiando alla solidarietà maschile, i due disgraziati, resi emotivi e fiacchi dal bere, si sostengono l'un l'altro, finché il fratello di Stefania – predicando con insistenza l'astinenza dalle donne – non fa sorgere nel Beduino un atroce dubbio: «Com'è che non ti ho mai visto con una donna?». Una voce lontana echeggia, esplicitando l'interrogativo implicito del Beduino: «A' frociii!».

L'episodio è quindi in perfetto equilibrio tra una volgarità moderata e affabile e la delicatezza auspicata dall'assennato Manfredi, storicamente gay friendly. La bellezza del giovane omosessuale inoltre non ha quasi precedenti nel genere della commedia, per inciso. Peccato che l'episodio con Pozzetto non sia all'altezza, non tanto perché sgradevole ma più che altro perché molto meno pregnante e attinente alla realtà: è dedicato alle vicissitudini di un prete bacchettone che scopre le gioie del sesso dopo che una bottigliata sul cranio gli ha fatto perdere la memoria... un pretesto un po' corrivo per parlare di celibato ecclesiastico.

PS: curiosamente il film è stato esecrato dal Centro Cattolico Cinematografico sulla rivista Segnalazioni Cinematografiche per via dell'episodio “blasfemo” con Pozzetto, mentre quello con Manfredi è stato completamente ignorato. Implicita censura, tacita assoluzione o sdegnosa noncuranza?

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autoretitologenereanno
AA.VV., Obiettivo ChaireABC per capire l'omosessualitàdizionario2005
Philip José FarmerCristo marzianoromanzo1991
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Joseph NicolosiOltre l'omosessualitàsaggio2007

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