Sono fotogenico

5 marzo 2019

Molto tempo prima delle “notti magiche” – per modo di dire – raccontate da Paolo Virzì, Dino Risi raccontava in Sono fotogenico le giornate di routine di una Cinecittà in profonda decadenza, anticipando la moda stracultiana di celebrare gli storici (e stoici) generici del nostro cinema, e chiamando a raccolta alcuni grossi nomi della commedia all'italiana (Monicelli, Tognazzi e Gassmann) per fargli fare le macchiette di se stessi e svelare impudicamente le bassezze del dorato mondo della Settima Arte.

In questo romanzo di formazione (e di frustrazione), Renato Pozzetto – molto più partecipe del proprio personaggio e meno “pozzetteggiante” di quanto non sarà, per esempio, nei film di Pasquale Festa Campanile e Castellano e Pipolo – interpreta Antonio Barozzi, un Candide incapace e credulo, proveniente dal varesotto, che giunge nella Capitale per mettere a frutto un talento recitativo che non ha. Scontratosi frontalmente con il proverbiale cinismo e la superficialità del milieu cinematografico romano, sarà mangiato vivo da approfittatori di ogni genere, che gli faranno rivalutare la famiglia gretta (in cui spicca un venale Massimo Boldi), la fidanzata bruttina da lui perennemente snobbata, e persino la straziante sirena del traghetto che solca il Lago Maggiore.

Data l'ambientazione, Pozzetto non impiega molto a finire sotto le grinfie dell'omosessuale di turno, un potente e vorace insegnante di recitazione, tale Carlo Simoni (l'ottimo Julien Guiomar, doppiato con voce orchesca da Sergio Fiorentini)... ma prima ancora verrà preso sotto l'ala di un gay più rassicurante, incontrato ad un reclutamento di comparse: il vezzoso Paolino (Paolo Baroni, spesso usato da Risi per deliziosi ruoli da folletto omosex). Costui lo conduce – una volta tanto senza doppi fini – presso la Pensione Primavera, che il maestro Simoni descriverà come «quella brutta pensione di froci», aggiungendo con maliziosa sfacciataggine «stai attento che quelli ti mangiano vivo!». In effetti la pensione conta un assortimento di ospiti gay: oltre a Paolino, ci sono un sindacalista, un poeta, un parrucchiere per signora (Roberto David) e un indossatore che, più avanti nel film, risulterà essere anche un travestito marchettaro part-time.

Pur equivocando sulle preferenze sessuali di Pozzetto/Barozzi, nessuno di loro – con nostra meraviglia – lo molesta, ma – con sua sorpresa – lo rendono edotto delle loro attività di militanti gay (Dino Risi, caso rarissimo tra i registi italiani, aveva già mostrato una curiosità per l'argomento in Sessomatto): in particolare il poeta e il sindacalista raccontano la loro diatriba con la municipalità per ottenere degli spazi per avere la debita visibilità a livello cittadino (e il poeta si vanta di aver detto al Sindaco che «Roma è stata fondata dai froci»).

Molto più vecchio stampo e disimpegnato è il succitato Maestro Carlo Simoni, alla cui scuola (anzi, “officina”) il Barozzi viene indirizzato da un agente arraffone e trafficone (Aldo Maccione, sempre perfetto per queste parti). Le lezioni – parodia smaccata delle teorie del teatro attivo – sono praticamente degli incontri di wrestling: «Ragazzi miei, siate cattivi: dilaniatevi, fatevi del male!» urla Simoni, istigando i propri allievi a menarsi vicendevolmente.

Il Simoni prende subito di mira Barozzi, che diventa l'interlocutore privilegiato di un suo infervorato monologo didattico: «Sarò il vostro demiurgo e il vostro aguzzino; vi sevizierò, vi violenterò... ma se lo meriterete, vi amerò, vi adulerò, e fors'anche... vi sodomizzerò». E qui afferra Barozzi per le orecchie e preme le proprie labbra contro le sue. Ma Barozzi lo stupisce con la sua intraprendenza, contribuendo al bacio con una punta di lingua.

Tempo un giorno e Simoni lo convoca nel proprio opulento appartamento, vestito con una vestaglia che è praticamente la divisa dell'istrione omosessuale. Simoni la prende alla lontana: si dice colpito dal suo istinto recitativo e si fa raccontare la sua poco avvincente biografia. Subito, però, arriva l'azzimato compagno di Simoni, tale Philippe, il suo Helmut Berger personale, e scatta immediata la sceneggiata: «Sei solo una marchetta!» lo insulta Simoni, al che Philippe gli restituisce le chiavi della Rolls, salvo ripensarci subito dopo. Esce.

Simoni è distrutto. Ma si rinvigorisce immediatamente e salta i preliminari nel corteggiamento a Pozzetto, il quale si affida come timida creta alle sue mani, determinato com'è a raggiungere il successo. Simoni sonda il terreno: «Hai mai avuto esperienze omosessuali?» indaga e, senza attendere la risposta, dissoda le guance pastose di Barozzi con un piede, subito prima di affondarglielo sullo scroto, mentre elenca i pregiati doni che ha fatto alla “marchetta” Philippe a suo tempo.

Un maggiordomo asiatico annuncia che il pranzo è servito, salvando in corner i genitali di Pozzetto. Simoni promette cene con Billy Wilder e brinda al primo Oscar del Barozzi, al quale la sensazione di stringere tra le mani la prestigiosa statuetta ha già anestetizzato i lombi. Il sogno però sfuma immediatamente col ritorno del figliol prodigo Philippe, che pretende che il Barozzi gli ceda il posto: ne deriva una rissa, fomentata dal deliziato Simoni («Bambini, io non merito tanto!» squittisce), il quale mette in pratica anche nella vita privata gli insegnamenti che dispensa nella propria scuola.

Ovviamente Barozzi non vedrà mai né Billy Wilder né l'Oscar, ma lo spettatore eterosessuale forse lo riterrà il giusto prezzo per mettere al riparo qualcosa di molto più prezioso (e che Pozzetto non si fa scrupolo a cedere in Zucchero, miele e peperoncino, per avere – molto più prosaicamente – uno sconto dal titolare di una concessionaria d'auto).

Dopo questo momento notevole – per chi scrive il più divertente tra i tentativi di “plagio” subiti da Pozzetto nei suoi film – il film prosegue con un ritmo un po' lasco, ma risulta comunque appagante per il suo accanimento nei confronti del Barozzi, che Dino Risi perseguita con un sadico sorriso sulle labbra.



PS: La spregiudicata comparsa che Pozzetto corteggia (Edwige Fenech) viene finalmente promossa a protagonista per girare a Tahiti il fantomatico Amore saffico nell'ultimo paradiso. Da recuperare assolutamente!

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