Dove vai se il vizietto non ce l'hai?

25 febbraio 2020

Quel titolo. Quella canzoncina, situata sulla sottile linea che separa il genio dalla demenza, scritta da Berto Pisano per i titoli di testa. Quell’indifferenza al comune senso del pudore che di solito impone a registi e sceneggiatori di inventarsi almeno un pretesto prima di offrire allo sguardo dello spettatore una quinta di seno esposta in tutta la sua nuda rotondità (cosa che qui avviene al minuto 2.32). Tutto ciò basta a spiegare perché Dove vai se il vizietto non ce l’hai? sciolga il cuore del solitamente austero Mereghetti, il quale gli elargisce – sulla base anche di due striminzite citazioni meta-cinematografiche – ben due stellette sul dizionario omonimo, contro l’unica stellina che viene assegnata quasi automaticamente alle cosiddette “commedie scollacciate”, anche se più articolate e divertenti.

Volendo andare oltre a questi pur appetitosi presupposti di superiorità “sentimentale”, a chi scrive sembra che questo lavoro di Franco Martinelli (pseudonimo del navigato Marino Girolami) non sia più sfacciato, per esempio – del vecchio Il vizio di famiglia (1975, Mariano Laurenti), e che i personaggi siano caratterizzati in modo meno efficace. Anche lì Renzo Montagnani – professionista stoico se mai ve ne furono, nel cinema italiano – interpretava un personaggio che, per insinuarsi in una casa di ricchi signori, si fingeva sia maggiordomo che omosessuale... cose che spesso, al cinema, si equivalgono.

La differenza rispetto al film di Laurenti è che qui Montagnani – detective ovviamente scalcinato al soldo della ricca Paola Senatore, intenzionata a investigare sulla supposta infedeltà del coniuge – è accompagnato da un Alvaro Vitali en travesti, che viene assunto come cuoca nella casa del presunto marito fedifrago, il Commendator Mario Carotenuto (immenso pure lui, rispetto al contesto). Qui Vitali viene palpeggiato dall’allupato giardiniere Anselmo, attratto dai suoi rigonfiamenti posteriori in gomma piuma. Astinenza, quali misfatti si commettono in tuo nome!

La componente viziettesca è quindi simulata, almeno inizialmente, e si riduce, per la gran parte del film, agli equivoci dovuti al doppio travestimento di Vitali e Montagnani. Quest’ultimo, ansioso di poter tornare a esercitare le proprie prerogative di sciupafemmine, a un tratto sbotta «Né per scherzo né per burla, intorno al culo non ci voglio nulla [nurla, NdA]». Del resto, “culocentrici” sono tutti i possibili equivoci che la sceneggiatura di Carlo Veo riesce a escogitare. Infatti, quando il giardiniere Anselmo si convince che tra il maggiordomo Montagnani e la cuoca Vitali ci sia un rapporto illecito, esclama disgustato: «Lei è ricchione e lui è lesbica! Di questi tempi, co’ ’stu sesso nun se capisce più ’nu cazzo».

A tre quarti del film però… la svolta, che si manifesta – accompagnata da un turbinar di mestoli, in luogo dei troppo ovvi ventagli – nella persona di Calypso (Ronald Mardenbro), emulo del dinoccolato domestico del solo vero Vizietto, Jacob. Sarà proprio con Calypso che il giardiniere Anselmo, rigettato da tutti gli altri membri del cast, troverà la propria dimensione riconoscendo che «ogni pertuso è puorto» (ogni buco è un porto), almeno in tempi di carestia… di “femmine”.

La lezione viene rapidamente assimilata dagli altri personaggi: Mario Carotenuto rivela un’insolita passione per le vestaglie piumate e per i travestiti in tailleur, coi quali balla appassionatamente il tango (“tango diverso”, ça va sans dire, come canta Totò Savio ne La patata bollente, film dello stesso anno). Così facendo Carotenuto si rende ricattabile da Montagnani e da Vitali e compra il loro silenzio in cambio di venticinque milioni, nonostante le resistenze del proprio fidanzato, campione laziale dei pesi medi, che vorrebbe gonfiarli di botte. Ma il maltolto viene subito sottratto ai protagonisti da due autostoppiste finlandesi, che a loro volta si svelano temibili rapinatori. Il più agguerrito è Franco Caracciolo, “checca” per antonomasia del cinema italiano, che ritroverà Montagnani – venendone epitetato nei modi più scurrili – in Tutta da scoprire (1981, Giuliano Carnimeo), pellicola ancor più sciovinista di quella in questione, se possibile.

Picchia duro, Franco, picchia finché puoi! Fallo per le tue consorelle.

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