recensione diAndrea Meroni
Io vi dichiaro marito e... marito
A tutti i sostenitori del «Si stava meglio quando si stava peggio», a tutti i detrattori del #metoo, a tutti i fan dello yellowface… insomma, a tutti i “trumpisti per caso” è caldamente consigliata la visione di Io vi dichiaro marito e... marito, un film del 2007 che non sembra realizzato un giorno più tardi del 1985, dato l’uso sconsiderato di una comicità che – se non rischiassi di scadere nel fatshaming – non saprei definire con altri aggettivi se non “grassoccia”. Una comicità talmente anacronistica da distogliere l’attenzione dalla conclamata inadeguatezza di Adam Sandler come protagonista, e questo potrebbe anche essere considerato un pregio. Ma anche talmente decerebrata, logora e stracotta da far dire persino allo spettatore più retrivo: «Grazie al cielo oggi non sarebbe più possibile fare un film così!».
Tutto ciò vale soprattutto per la prima parte, che sembra concertata dalla redazione di Libero nel contesto di un raduno di alpini, benché il soggetto non sia di quelli del tutto irrecuperabili. Eccone i presupposti: due amici pompieri, il vedovo inconsolabile Larry (Kevin James) e il playboy sciovinista Chuck (Adam Sandler), decidono di sposarsi per usufruire delle agevolazioni pensionistiche concesse alle coppie dello stesso sesso dallo Stato di New York, venendo così inquisiti da una specie di investigatore del Comune, Mister Fitzer (un insoffribile Steve Buscemi) che vuole dimostrare la natura fraudolenta della loro “unione”. Ad aiutare i due buddies interviene una bella avvocatessa (Jessica Biel), “frociarola” patentata (con tanto di fratello gay sovreccitato) che naturalmente fa ribollire il sangue di Chuck…
Gli sceneggiatori Barry Fanaro, Alexander Payne (tu quoque!) e Jim Taylor si crogiolano nell’illusione che per deridere l’omofobia basti riprendere pari pari le uscite infelici degli omofobi, categoria alla quale, all’inizio del film, appartengono gli stessi Chuck e Larry. In particolare il primo dei due – che sbava all’idea di veder praticare il french kissing da due procaci gemelle transitate dal suo letto – non si fa scrupolo a sfottere crudelmente Eric, il figlio effeminato di Larry, destinatario privilegiato dell’inno di Immanuel Casto Da grande sarai fro**o.
Il personaggio di Eric è uno dei pochi indovinati del film, assieme al baffuto postino che desidera occultamente Larry e soprattutto al minaccioso pompiere afroamericano interpretato da Ving Rhames. Quest’ultimo, dietro al cipiglio da maniaco omicida che usa per farsi rispettare dai colleghi, nasconde l’indole della più serafica delle checche. La trasformazione del suo carattere è resa in modo simpatico e spiritoso dal gongolante Rhames, eppure questa figura è usata come portavoce di un messaggio discutibile, cioè che gli omofobi smetteranno di essere tali quando avranno troppa paura dei tuoi pugni.
Per gli sceneggiatori esistono infatti due categorie di omofobi: quelli buoni, che si ravvedono davanti alla minaccia di un cazzotto, e quelli cattivi, che bisogna mandare al tappeto fino a ridurli a più miti consigli. A questa categoria appartengono gli irrecuperabili seguaci di un predicatore evangelico che Chuck, all’uscita di un party benefico a tema LGBT, mette KO per aver proferito la parola proibita: “faggot”. Parola che per lo stesso Chuck era il pane quotidiano fino a poche sequenze prima.
Dopo la prima metà, il film subisce un dirottamento piuttosto sbalorditivo, come se lo script fosse strappato dalle mani di Vittorio Feltri da qualche sedicente icona gay di seconda scelta (una Barbara D’Urso o una persona di pari sensibilità), allorché Chuck diventa improvvisamente friendly. Ma ciò non gli impedisce – e qui si svela nuovamente il vero animo degli sceneggiatori – di difendere i colleghi pompieri, i quali lo hanno esiliato dalle partite di basket credendolo omosessuale. All’avvocatessa che vorrebbe far subire loro una sanzione disciplinare, Chuck obietta che in fondo sono bravi ragazzi… solo un po’ ignorantelli. Anzi, omofobi buoni (detestabile contraddizione).
Per sensibilizzarli, Larry ricorda loro tutti i nobili gesti compiuti da lui e dal suo presunto marito nel corso degli anni. Ad esempio: «Ti ricordi quando Chuck ed io siamo rientrati in quella fabbrica e ti abbiamo tirato su svenuto, anche se Chuck aveva una gamba rotta in tre punti diversi? È stato un sacco gay da parte di Chuck!». E così via, suggerendo involontariamente che omosessualità ed eroismo siano l’uno in contrapposizione all’altro… perché del resto lo spettatore sa che Larry e Chuck sono etero fin nel midollo!
Insomma, la virata pro-gay – che potrebbe permettere di chiudere un occhio su macchiette incivili come il ministro cinese che officia il matrimonio tra Chuck e Larry, interpretato dal famigerato Rob Schneider – viene condotta in modo talmente maldestro e illogico da mortificare ogni buona trovata; tanto più che gli attivisti LGBT vengono rappresentati come dei deficienti a cui spunta la lacrimuccia ogni qual volta vedano delle mani virili congiungersi.
Per dirla fuori dai denti, Io vi dichiaro marito e... marito è la dimostrazione che non basta comprare i diritti di tutta la discografia degli Abba o di Cyndi Lauper per realizzare un film che sia realmente friendly nello spirito, prima ancora che nei contenuti.