Quando leggo libri come questo, e m'assale il ghiribizzo di scriverne qualcosa, mi sento alquanto imbarazzato, perché non so come trattarli: voglio dire che se li valuto come letteratura ne fanno parte a stento, fra mille caveat, mentre se li si piglia per meri libri comici bisogna esprimerne un giudizio assai lusinghiero, visto che indubbiamente fanno ridere. D'altro canto, il libro - non lo chiamo romanzo, e fra un attimo spiegherò il perché - di Boni non è una mera silloge di barzellette, anzi, a tratti assume quasi un piglio d'impegno e militanza: sicché alla fine mi sembra che la soluzione più equilibrata sia trattarlo come una normale opera narrativa. E qui, da un punto di vista formale, incomincian le dolenti note: più che un romanzo, questa è una raccolta di storie a tematica GLBT (anzi, per essere precisi, "G" e basta), sia pur messe in sequenza e coi medesimi protagonisti; i singoli capitoli (o racconti) si presentano poi più come sceneggiature che come pezzi di narrativa: i connettivi, la parte diegetica, le descrizioni di contorno infatti sono particolarmente ridotte all'osso, e quasi l'intero testo è costituito da un fuoco di fila di dialoghi brillanti, fitti di battute, trovate, paradossi, bell'e pronti per un film, uno spettacolo di varietà o una sitcom; se l'autore avesse osato di più, avrebbe potuto creare, paradosso pieno di paradossi, un romanzo tutto di dialoghi, come Ronald Firbank o Ivy Compton Burnett: ma si vede che non aveva uzzoli sperimentali. Ciò che il lettore non si deve aspettare è il classico libro di narrativa, non perché vi accada poco (anzi, tutto sommato vi succedono parecchie cose), ma perché i personaggi principali e di contorno e le situazioni stesse costituiscono un concentrato di stereotipi e di macchiette, dove manca in sostanza una vera evoluzione. Boni non vuole creare personaggi verosimili, ma far ridere, e i singoli capitoli sono scenette comiche: abbiamo tre gay e una loro amica, tutt'e quattro perpetuamente affamati di maschi e praticamente incapaci di pensare ad altro che à la bagatelle, e del resto anche nel parlare finiscono sempre lì; a tal proposito conviene che le persone un po' vereconde, facili ai rossori, si astengano dalla lettura, tanto più che l'autore, parecchio sboccato e boccaccesco, oltre ad amare il pecoreccio non risparmia loro nemmeno situazioni schifosette, sebbene alla fin fine le presenti sempre con tono scanzonato e lieve. A parte il sesso, il pensiero dominante dei personaggi sono le icone gay, soprattutto quelle attuali (un limite alla sopravvivenza nel tempo d'un libro simile sarà dato, a mio avviso, dal carattere decisamente ondivago e labile di molte icone gay odierne, che temo non avranno la durevolezza delle Judy Garland o delle Moira Orfei d'antan, sicché troppe battute fra cinque o dieci anni diverranno più criptiche delle allusioni di Aristofane ai politici ateniesi del quinto secolo avanti Cristo), che formano oggetto di allusioni, facezie, botte e risposte; ma oltre alle icone propriamente dette vi sono, naturalmente, anche i luoghi dell'anima, a cominciare dal Festival di Sanremo (anche l'Eurovision, al quale però è dedicato solo qualche fugace riferimento), seguito dai protagonisti con devote riunioni casalinghe di gruppo, e il Gay Pride, col quale si conclude l'opera. Le vicende si svolgono a Roma, e nei dialoghi ricorrono termini o locuzioni romaneschi, ma sembrano buttati dentro solo per far colore, un po' a casaccio, senza un vero intento mimetico e caratterizzante, alternandosi a lunghi tratti in italiano puro, perfino, qua e là, leggermente impettito. Un pregio di Boni è però la sua capacità di manipolare bene i ritmi e di non farli mai cadere, tranne forse che nel capitolo di Andrea e Michele che fanno reciproca conoscenza, in effetti lunghino: l'andamento è sempre indiavolato, sopra le righe come i protagonisti, i comprimarî (compreso un quartetto di mamme pazzoidi) e tutto ciò che accade in queste pagine. Insomma, è un libro con pregi e difetti; ma secondo me, se non si pretende di ricavarne troppo, essendo diretto a lettori che condividono una (sotto)cultura settoriale ma non particolarmente sofisticata, i pregi l'hanno vinta sui difetti. Dopotutto, prodotti come questo rappresentano anche un'alternativa piacevole a quella narrativa italiana d'area, impacciata e pretenziosa, che mira al sublime senz'averne non dico i mezzi, ma neppure le basi; ed anche in rapporto a letture a tematica gay ben più valide dal punto di vista letterario - qui, stilisticamente parlando, siamo in zone decisamente lontane delle vette - una sua funzione ce l'ha, un po' come, nei festival del cinema GLBT, quelle farse americane messe lì a mo' di dramma satiresco nella serata conclusiva, con risate sguaiate assicurate dopo tanti dolori, tanta commozione, tanta militanza rainbow. Certo, io preferirei leggere libri leggeri in apparenza ma profondi nella sostanza, solo che per scriverne ci voleva la buonanima di Arbasino, e di Arbasino ce n'è stato uno solo; e, a conti fatti, meglio le comiche di Boni che i troppi romanzi impegnati capaci, alla fine, di annoiare e basta. Un invito finale all'autore, se mai gli capitasse di scorrere queste annotazioni: non usi affatto come se significasse "per nulla": è un modo di esprimersi sbagliato ma più ancora è oltremodo fastidioso: mi fa star male. Ah, chi sono le somare del titolo? Basta, ho scritto fin troppo: i miei tre lettori leggano il libro, oppure lavorino di fantasia.