Lenny

6 novembre 2020

Più che un comico, un missionario: è così che Bob Fosse, nell'elegante, ritmatissimo biopic Lenny, ritrae lo stand-up comedian Lenny Bruce (1925-1966), il quale - anche grazie alla barba folta che lo caratterizzò negli ultimi anni di vita - può essere facilmente ascritto alla categoria dei "profeti dei nostri giorni". La sua strenua crociata contro l'ipocrisia ebbe l'obiettivo di far sentire lo spettatore meno solo, meno complessato, meno schiavo di quel bigottismo che ci impedisce di riconoscerci fratelli nel vizio, oltre che nelle virtù.

Incarnato con precisione sbalorditiva da Dustin Hoffman, Lenny ha come cavallo di battaglia, nel momento d'oro della sua carriera, il sesso. Attingendo a piene mani dal proprio vissuto, reinterpreta in chiave post-kinseyana l'ammonimento evangelico "chi è senza peccato, scagli la prima pietra". Tra i tanti tabù che prende in esame, c'è il più classico dei feticci erotici per maschi eterosessuali: l'intimità tra lesbiche.

Lenny non finge di essere estraneo a questa fissazione, e difatti il costante rimescolamento di piani temporali ci mostra lui e la moglie Honey (Valerie Perrine) alle prese con uno sperimentale "triangolo". Più che di erotico però, il threesome ha un che di claustrofobico, per colpa (o per merito) dell'opprimente fotografia in bianco e nero di Bruce Surtees, tra i più vistosi punti di forza del film. Il concretizzarsi di tale fantasia non soddisfa Lenny più di tanto, poiché si accorge che la moglie è più coinvolta dello "stretto indispensabile".

Imbarazzata per non essere riuscita a dissimulare il proprio trasporto, Honey rimprovera Lenny per averla voluta coinvolgere in quelle che lei definisce delle "freak scenes". Malevolo, lui ribatte di non aver dovuto insistere più di tanto e le rinfaccia ulteriori trascorsi lesbici...

Ma poiché fondamentalmente è un uomo coerente, consapevole delle proprie contraddizioni, i monologhi di Lenny su questo argomento sembrano dettati da un serpeggiante senso di colpa, dall'ammissione implicita di aver strumentalizzato il sesso tra donne a proprio uso e consumo, di essersi disinteressato dell'appagamento della moglie e della sua occasionale partner. Risentendosi, per giunta, perché l'appagamento in realtà c'era stato eccome, a dispetto delle sue previsioni di "maschio sciovinista"!

Nel repertorio di Lenny abbondano le battute sugli omosessuali, come del resto su tutte le altre cosiddette minoranze. "Cosiddette" perché l'obiettivo del Nostro è proprio scardinare la logica perversa che impone alle minoranze medesime (cui lui stesso appartiene in quanto ebreo) di patire del proprio stato, con tutta la solitudine che ne consegue. A questo proposito, in uno dei suoi assoli, Lenny propone - con lodevole anticipo - la riappropriazione dei termini offensivi ("negro", "frocio", "mangiaspaghetti", etc.) da parte degli interessati, in barba ad ogni vittimismo, cosicché nessun ragazzino possa più arrivare a suicidarsi per essere stato chiamato in quel certo modo.

Caso vuole che proprio nel corso di un ispirato monologo sull'increscioso licenziamento di due insegnanti omosessuali, Lenny pronunci la parola che gli costa il primo di una lunga serie di processi, innescando un rovinoso declino economico e psicofisico fatto di depressione, persecuzione giudiziaria, paranoia e morfina. La parola in questione è "cocksucking", "pompino": mai tre sillabe ebbero un effetto tanto catastrofico nella vita di un comico.

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Cabaret1971

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