Nicola Lagioia, La città dei vivi

15 novembre 2020

"Noi siamo i figli dei padri ammalati": questo verso del poeta scapigliato Emilio Praga sembra risuonare dalle confessioni di Marco Prato e Manuel Foffo, i due giovani romani, autori del brutale omicidio del ventitreenne Luca Varani nel marzo del 2016. Ma si può realmente attribuire ogni colpa ai padri o alle famiglie, come sostenevano gli antichi? Ciò che emerge dalle parole e dalle dichiarazioni dei due colpevoli è, senza dubbio, un rapporto complesso all'interno delle mura domestiche: per Prato una freddezza materna e una debolezza paterna, per Foffo un padre dalla forte personalità che gli avrebbe impedito di spiccare il volo nella sua vita e che ne avrebbe amato solo il fratello. Basta questo, però, a spingere a compiere un brutale omicidio?

Di certo, questo intenso romanzo-reportage di Nicola Lagioia si interroga per le sue quasi cinquecento pagine non solo sulle cause del delitto ma riesce brillantemente a scavare nell'animo di questi due trentenni, nelle loro debolezze e mille sfaccettature, nel loro essere, secondo l'opinione popolare, "maledetti": Manuel e Marco sono animati da uno spleen che li porta a fare un consumo smodato di alcool e cocaina, tanto da perdere la ragione, contattare Varani e colpirlo - non sapremo mai le singole responsabilità - con coltellate e un martello fino a lasciarlo agonizzante.

L'autore, anche attraverso le numerose testimonianze di coloro che hanno conosciuto o sono entrati in contatto con i due assassini - in una sezione del romanzo intitolata, non a caso, Il coro (la tragedia greca è sempre presente...) - tenta di capire qualcosa che forse non ha né avrà mai una spiegazione razionale. Si dedica anima e corpo a scandagliare l'interiorità dei due: i tormenti di Prato che non accetta il suo sesso e vuole diventare donna, che riesce con la sua peitho a convincere gli eterosessuali, come Manuel, ad avere almeno un rapporto orale con lui e la debolezza, il languore di Foffo che non è padrone di sé, della sua vita, della sua sessualità, e che, più di ogni altra cosa, teme che gli altri lo reputino un "frocio".

E Luca Varani? Un ragazzo adottato, amato dai genitori, dalla sua fidanzata, che, per smania di denaro, fa la marchetta per arrotondare il salario e poter giocare i guadagni alle slot. Lagioia lo rende protagonista, cerca di dargli una voce, nonostante i silenzi dietro ai quali il ragazzo nascondeva un'altra vita, fatta di prostituzione e droga. In questo tentativo di far parlare anche la vittima attraverso i ricordi di chi lo ha conosciuto, si cela una delle tante forze di questo reportage: Luca non resta mai sullo sfondo, è "vivo", anche se in prima persona agirà solo nell'appartamento degli orrori, vittima della brutalità nonsense di due giovani ricco-borghesi.

C'è, infatti, anche una dialettica sociale all'interno del romanzo: un incontro, più che uno scontro, tra la middle class, i vip, i locali (Prato era un PR), e la borgata, guardata con occhio pasoliniano, grazie anche all'uso del dialetto romanesco.

Tuttavia, Roma è anche questo: l'unico luogo dove le classi sociali si mescolano di continuo, dove "persone del sovramondo hanno interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia dei favori che non può fare nessun altro". E, dannunzianamente, Roma, "la città dei vivi", è la grande protagonista di quest'opera: una Roma squallida, sporca, dominata dai topi, dai gabbiani e dall'immondizia, tentacolare, tentatrice, respingente e cinica (lo stesso Lagioia decide di trasferirsi per poi tornare). Roma è una fenice che risorgerà sempre e comunque dalle sue ceneri: siamo nel 2016, non c'è un sindaco (Marino aveva dato le dimissioni) ma ci sono due papi e, soprattutto, c'è l'inchiesta "Mondo di Mezzo".

Eppure, in un profluvio di pareri, indignazioni, reportage giornalistici, violenze verbali sui social, Lagioia non commette mai l'errore di giudicare i suoi personaggi: attratto istintivamente da questo terribile caso di cronaca per motivazioni che non si possono svelare per non sottrarre troppo ai lettori, egli mostra una profonda umanità tanto di fronte alla vita spezzata di Varani quanto al suicidio di Prato in carcere e alla condanna a trent'anni di reclusione per Foffo, perché tutti noi temiamo sempre di essere la vittima, di essere aggrediti o derubati, ma non ci interroghiamo mai sulla paura più profonda, quella del "fa' che non sia io a farlo".

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