recensione diAndrea Meroni
I laureati
I simpatici mascalzoni hanno fatto la grandezza della commedia all'italiana. I mascalzoni che si credono simpatici, no. E non è che poi i quattro universitari fuori corso del debutto alla regia di Leonardo Pieraccioni, I laureati, siano autentici mascalzoni: non hanno qualità, né peculiarità, non hanno determinazione, né, men che meno, il coraggio delle proprie azioni.
Fossero almeno autenticamente cattivi, si potrebbe spiegare cosa abbia catturato le simpatie degli spettatori a tal punto da garantire a I laureati un incasso superiore a quello dello sfolgorante ritorno di James Bond nelle sale con Goldeneye.
Invece no, i quattro neo-vitelloni di Pieraccioni (lui stesso, Massimo Ceccherini, Rocco Papaleo e GianMarco Tognazzi) sono semplicemente noiosi nel loro conformismo e nella loro misoginia: il loro successo è uno dei più grandi misteri della commedia italiana da quando Celentano dominava il box-office con film insulsi e antiquati come Il bisbetico domato e Innamorato pazzo.
Forse il più valido del mucchio è GianMarco Tognazzi, simpaticamente (anzi, antipaticamente) proteso verso l'ideale di spregevolezza fissato da Franco Fabrizi, appunto, nel prototipo felliniano I vitelloni. Pieraccioni invece, coi suoi sguardi di sottecchi in macchina e la sua voce fuori campo che non dà tregua, sembra appellarsi continuamente alla clemenza della corte, pardon, del pubblico.
In questa sede, il film va citato per la famigerata scena del "giro lungo", strutturata in tre momenti. Dapprima Rocco (Papaleo) si lascia irretire dalla prosperosa Anna (Tosca D'Aquino), la quale - con insperata disponibilità - lo conduce nei propri appartamenti e gli carpisce, nella foga delle effusioni, la promessa di amplessi elaborati alla presenza di amiche, fidanzati, nonne etc. Lo sprovveduto acconsente senza porre condizioni, al che la ragazza chiama a gran voce il proprio boyfriend, Luciano, il quale si è nascosto nell'armadio in attesa di unirsi.
Uscendone, Luciano fa il suo letterale coming out e Rocco prevedibilmente va nel pallone, prendendo a male parole i due dissoluti. «Banale!» gli urla Anna, «No, normale!» ribatte lui. "Convenzionale", diremmo noi di una schermaglia così risaputa: niente di nuovo sul fronte bisessuale.
La seconda fase è questa: il depresso Professor Galliano (Alessandro Haber), amico e maître à penser di Pieraccioni (cui ha da poco confessato le proprie disfunzioni erettili), si presenta euforico in un bar accompagnato dai due "dissoluti" di cui sopra. Pieraccioni & Co. sono ovviamente presenti (ma in università non ci vanno mai?) e accolgono l'ingresso del professore con aria d'incredulità prima e di commiserazione poi, conoscendo l'identità e le attitudini della coppia a cui si accompagna.
Pur alticcio e farneticante, Haber coglie la disapprovazione nello sguardo del suo pupillo, ma rifiuta il passaggio che Pieraccioni gli offre: preferisce farsi accompagnare dai suoi nuovi amici, i quali gli faranno fare "il giro lungo", perifrasi inutilmente pudica per indicare un'esperienza sessuale non proprio ortodossa.
Buon per il Professor Galliano, si potrebbe dire, in barba all'avvilimento del suo discepolo. E invece no, perché dopo poche sequenze lo ritroviamo in ospedale con una pallottola autoinflitta piantata nel petto. Altro compatimento da parte di Pieraccioni, altra auto-commiserazione da parte di Haber. E tutto per un'innocente partouze. Basta(va) così poco per sconvolgere Pieraccioni?