Vedo che, dopo aver letto questo romanzo di Ocean Vuong, parecchi vanno ripetendo che lo scrittore americano d'origini vietnamite ha uno stile molto ardito e immaginoso perché, prima che narratore, è stato ed è un poeta; io direi piuttosto che fa il poeta proprio perché il suo sentire non è, diciamo così, diegetico e consequenziale, ma onirico, impressionistico e sconnesso; e che narra non come autore che ami dipanare una serie di accadimenti ordinata, bensì dando una percezione lirica della storia, condensandone le vicende in lampi di ricordo, anche con abbondanza di ritorni e anticipazioni, perché la nostra memoria emerge a fiotti e a scaglie: dopotutto, lo stream of consciousness è ormai una pratica da lungo tempo diffusa e accettata in letteratura. Come tutti (o quasi tutti) gli autori giovani, Vuong rischia però di cadere nella sovrabbondanza e nel manierismo, per esempio con l'uso dell'ossessione simbolica per la migrazione delle farfalle monarca o dei bisonti, che dopotutto è una metafora tutt'altro che criptica della condizione del giovane narratore, della mamma e della nonna, immigrati dal Vietnam con un retaggio di traumi e violenze che hanno lasciato il segno: da una parte il lettore ammira, dall'altra diffida, e avverte sempre un'ombra vaga di compiacimento; lo stesso per ciò che riguarda l'infanzia del protagonista o la sua storia d'amore con l'ambiguo Trevor; né mancano, a fianco delle piccole vicende dei personaggi, riverberi delle grandi vicende storiche o economiche degli Stati Uniti odierni, come lo scandalo della Purdue Pharma. Il romanzo quindi è tematicamente oltre che stilisticamente molto ambizioso: a tratti ambizione tematica e stilistica si sposano felicemente, a tratti viceversa il meccanismo pare incepparsi o girare a vuoto. Mi ha incuriosito anche la rappresentazione dell'attrazione e della passione omosessuale, che in uno scrittore così giovane ci s'immaginerebbe aerea e lieve, allegra e positiva, mentre qui la fisicità e il concubito sembrano costantemente aduggiati da ombre di rovina corporea e contemptus mundi: vero che forse il narratore getta sul corpo di Trevor la luce sinistra della sua successiva decadenza; ma in quest'amore adolescenziale non ho scorto il minimo lampo di luce. Ed ora veniamo al mio solito gusto per le pedanterie. Oltre a qualche stranezza nell'italiano della versione, che non so se attribuire a scelte della traduttrice a ricalcare scarti dalla norma nel testo inglese, a sue distrazioni o a incuria dell'editore, ne ho notate alcune che vengono direttamente da Vuong, come probabilmente un "colonnello di alto grado" a p.77, non riuscendo a capacitarmi di come possa essere un colonnello di basso grado, e come certamente i pasticcetti combinati col latino e col mito dell'ermafrodito, o l'attribuzione a Chopin d'un'ouverture: d'altronde, a tanti piace attribuire al grande compositore polacco musiche da lui mai scritte: addirittura quartetti d'archi, come fece tempo fa un venerando direttore di giornale nostrano. Però la cosa che più mi ha sconvolto leggendo questo libro è notare quanto siano cambiati gli usi e costumi nelle università. A p.199, vediamo, durante una lezione di letteratura italo-americana, ragazzi che guardano feisbuc e se ne vanno a loro talento; e mi torna in mente una scena di tanti anni fa, quando il mio professore di Diritto Internazionale Privato fece una solenne reprimenda a un ragazzo dell'Erasmus che s'era messo a sbocconcellare un cornetto in aula durante una lezione. Non c'è più la compostezza che avevamo noi a lezione, signora mia. Queste inezie mi rendono quasi tangibile quanto tempo sia passato da allora.