recensione diDaniele Cenci
Tibesti game
In un apocalittico scenario da Medioevo post-atomico, che rimanda a Dune e Guerre stellari, si dipana nei sotterranei meandri del deserto del Sahara e sulle sue desolate distese un appassionante fantasy che vede al centro la devozione amorosa di Osman, Duca di Iur, per il ragazzo-ghepardo Milo (la mente corre all'esotico ciclo de "Il mirto e la rosa" di Annie Messina).
I popoli sopravvissuti, che imperscrutabili esperimenti ed epidemie hanno spesso allontanato dal DNA umano, si dilaniano da mezzo secolo in guerre intestine segnate da subitanei rovesciamenti di alleanze e inutili crudeltà, impazziti per una droga-virus diffusa dalla potente Intimate Corporation: "Stanno arrivando dal nulla per divorare i nostri ricordi e i nostri sogni".
Sono diventati infatti inconsapevoli attori e vittime di un megareality (il gioco del titolo) in diretta mondovisione: la sala regia e il centro nevralgico delle riprese di Arbitrium Channel sono occultate nella Cattedrale sul massiccio vulcanico del Tibesti (che realmente si estende per 100.000 km² nel Ciad settentrionale).
Osman, legatissimo alla sorella monaca Elisabeth, è ancora provato dalla morte del primo adorato amante Theo quando il suo destino s'incrocia con quello di Milo e della piccola Sophia, in fuga dalle sevizie del loro padre, il feroce Altain Re dei Pitta.
Finché i 'buoni' (tra cui spiccano il Principe degli Inglesi Glauco e il fratello maggiore di Milo Kurt) decidono in uno scontro finale di porre fine alla farsa e di riprendersi la propria vita.
Un radioso futuro anche per l'indissolubile legame che si è cementato tra Osman e Milo dopo mille prove e peripezie.