recensione diAldo Brancacci
Documenti d'identità gay
Questo volume di Eribon è una raccolta di interviste e scritti brevi dedicati a quella che in Francia si usa chiamare la «questione gay», cioè l'insieme di temi e problemi legati alla rivendicazione dei diritti, all'affermazione della visibilità e all'identità delle persone omosessuali, discussi in una prospettiva sia politica e militante, sia teorica, sia inscritta nella tradizione della letteratura omosessuale, che proprio in Francia è particolarmente ricca. Si tratta di un libro militante, per una doppia ragione: vuole esserlo, e di fatto lo è, dato che tutti gli articoli che lo compongono sono scritti concepiti per interventi pubblici. Il volume, che reca una dedica («Pour John»), porta in epigrafe una frase di Jean-Paul Sartre, uno degli autori di riferimento di Eribon, tratta dalle Réflexions sur la question juive, che suona: «L'importante non è quel che si fa di noi, ma quel che facciamo noi stessi di ciò che si è fatto di noi». Nell'Avant-propos risuonano invece accenti foucaldiani, là dove l'A. chiarisce che lo scopo di tutta la sua attività teorica e critica è quello di costituirsi, in quanto omosessuale, come soggetto della propria parola e del proprio sguardo, sfuggendo alle problematiche imposte dall'ordine stabilito e dalla cultura dominante ed elaborando gesti di «resistenza» alla violenza discorsiva che si esercita in campo sociale, intellettuale e mediatico nei confronti di quelli che Hannah Arendt chiama «gruppi diffamati». Già da questi accenni è chiaro che Eribon opera una contaminatio, peraltro sincera e appassionata, tra autori di riferimento molto diversi, difficili da tenere insieme, e che il Foucault cui egli si ispira è un'amalgama tra il primo e il secondo Foucault, saldato con interessi e prospettive critiche di diversa provenienza.
Il volume si divide in tre parti. La prima, Politiques de l'homosexualité (pp. 17-71), comprende sei interventi, dedicati fondamentalmente al tema della rivendicazione di diritti per le persone e le coppie omosessuali. Il primo, Où l'on parle du Cus... (pp. 19-25), è un'intervista realizzata da Robin Campillo e Denis Gouin, relativa al Contratto di unione civile (prima formulazione avanzata in Francia di quelli che sarebbero stati poi i Pacs), che traccia la storia del Manifesto per il riconoscimento della coppia omosessuale elaborato da Eribon e pubblicato da Le Nouvel Observateur (1996) con la firma di 234 intellettuali francesi. La storia dell'origine di questo Manifesto è istruttiva, ed Eribon la racconta nei dettagli, sottolineando come gli omosessuali debbano farla finita con una prassi politica che li vede sostanzialmente succubi dei partiti politici, i quali chiedono a gay e lesbiche di votare per loro e poi di stare zitti non appena le elezioni sono passate. Eribon sostiene inoltre che le battaglie si guadagnano sul piano culturale e intellettuale prima che la politica cominci a preoccuparsene e che il diritto finisca con il seguire (cosa certamente vera in Francia, dove esiste una forte intellettualità militante, e dove il concetto di opinione pubblica designa qualcosa di reale e vissuto). Il secondo scritto, Une culture de la résistence (pp. 26-28), spiega il concetto di orgoglio, o fierezza, omosessuale, coniugandolo con quello foucauldiano di resistenza; l'A. sottolinea anche come il movimento degli anni '60 sia stato l'erede di una cultura omosessuale che si era espressa nel corso di tutto il Novecento sia nella letteratura e nel teatro che nella creazione di spazi di socialità e solidarietà (bar, associazioni, luoghi di incontro): affermare chiaro e forte la nostra fierezza significa anche, per Eribon, far vivere questa eredità e reinventarla ogni giorno. Il terzo scritto, Comme le mouvement féministe, le mouvement homosexuel fait éclater la politique traditionnelle (pp. 29-36), riproduce un'intervista pubblicata su un quotidiano svizzero in occasione del Gay Pride di Losanna del 1998, ed è un complemento del precedente. Alle domande poco simpatetiche dell'intervistatrice, la quale si fa eco di vari luoghi comuni, larvatamente o dichiaratamente omofobi (a che cosa serve oggi un Gay Pride? Carri e drag queens non sono alla lunga controproducenti per gli omosessuali? In che modo gli omosessuali sono divenuti visibili così rapidamente? Gay e lesbiche godono di un trattamento di favore nei media? e così via), Eribon risponde semplicemente e pacatamente che la Lesbian and Gay Pride è un momento di liberazione personale e di espressione di libertà individuale, che tuttavia è molto difficile compiere individualmente, perché solo la visibilità collettiva lo rende possibile (si ricordi che a Milano, come a Roma e a Battipaglia, due ragazzi che passeggiano tenendosi per mano possono essere ricoperti di insulti o incorrere in violenza fisica). L'A. rileva anche che il modo in cui gli omosessuali sono stati rappresentati per anni nel cinema o ancora oggi alla televisione è certamente ridicolo, patetico, effeminato: ma nessuno se ne indigna o si stupisce; la verità è che la sola 'buona immagine' che gay e lesbiche possono dare agli occhi di una società omofoba è quella dell'omosessuale che tace o si nasconde o si dissimula. Nel quarto scritto, De l'usage du "je" et du "nous" (pp. 37-41), l'A., affrontando un quesito difficile per un foucaldiano, afferma di parlare di omosessualità e di cose omosessuali sempre a titolo personale, ma di sentirsi autorizzato a dire "noi" di fronte alla straordinaria violenza della politica culturale eteronormativa. Il quinto scritto, Qui décide de ma vie privée? (pp. 42-51), è tra i più importanti della raccolta: esso apparve, amputato di un terzo e in forma anche modificata, senza che l'A. ne fosse avvertito, su Libération del 27 giugno 1998, laddove qui esso è pubblicato in forma integrale. L'articolo intende rispondere a una intervista e al Rapport sur la réforme du droit de la famille di Irène Théry, cattolica di sinistra, la quale ha indefessamente sostenuto che agli omosessuali debba essere concesso solo il concubinaggio, essendo riservato agli eterosessuali il matrimonio, perché quest'ultimo sarebbe «l'articolazione della differenza dei sessi alla differenza delle generazioni» (espressione fumosa per dire che il matrimonio è procreazione - posizione che ovviamente può essere contestata sia da parte omosessuale sia da parte eterosessuale) e perché, addirittura, sarebbe la differenza dei sessi (cioè, detto più chiaramente, l'eterosessualità) che «fonda la cultura e la civiltà»: questo, per la Théry, sarebbe «l'ordine simbolico» (cioè l'ordine «naturale» - termine però che la Théry preferisce occultare) fondamentale. Eribon denuncia i sottintesi omofobi di simili asserzioni, nonché il loro carattere dogmatico e per nulla dimostrato, facendo vedere come essi si risolvano in un attentato alle libertà personali delle persone omosessuali (di qui il titolo dello scritto); in questo contesto denuncia anche l'omofobia delle persone, della cultura e della stampa anche di sinistra; fornisce infine una ricostruzione completa della polemica con Irène Théry, fornendo particolari che mostrano come l'omosessuale il quale prenda la parola sul piano intellettuale e pubblico possa, anche nella civilissima Francia, essere oggetto di pesanti ritorsioni e di attacchi di vario tipo. L'ultimo scritto di questa sezione, Le Pacs et après (pp. 52-5(), è la recensione dell'importante volume Au-delà du Pacs. L'expertise familiale à l'épreuve de l'homosexualité, curato da Daniel Borrillo, Eric Fassin e Barbara Iacub (Paris, PUF, 2001).
La seconda parte del volume si intitola De l'homophobie (pp. 55-71) e tratta specificamente del tema, caro a Eribon, dell'ingiuria contro gli omosessuali: essa comprende un contributo presentato al Colloquio «Homophobie : comment la définir ? comment la combattre ?», organizzato dall'associazione Aides il 19 giugno 1999 a Parigi, e un'intervista pubblicata su Libération del 26 giugno di quell'anno in margine allo stesso Colloquio. Il primo scritto, Ce que l'injure me dit. Quelques remarques sur le racisme et la discrimination (pp. 57-65), mette in luce come l'ingiuria antiomosessuale, reale o potenziale, abbia molteplici funzioni: è qualcosa che mostra che un altro ha un potere su di me; è ciò attraverso cui si esprime la dissimmetria tra gli individui: quelli che sono legittimi e quelli che non lo sono e sono quindi vulnerabili; è qualcosa che, attentando alla parte più intima e vulnerabile di me, ha anche un «potere costituente» su di me; è ciò che costituisce le soggettività assoggettate; è qualcosa che mi precede e i cui effetti temuti precedono nella mia coscienza il momento in cui mi sarà rivolta; è, soprattutto, funzione di un sistema di esclusioni, di gerarchie, di discriminazioni legato al fatto del linguaggio, al suo potere performativo, potere a sua volta sostenuto da tutto l'ordine sociale, da tutta la sua storia e da tutte le istituzioni che lo costituiscono e lo perpetuano. In questo senso è urgente una critica radicale del discorso omofobo, almeno quanto lo sarebbe una sanzione penale dell'ingiuria stessa, anzi molto di più. E qui Eribon conclude su un paradosso, perché, secondo logica, bisognerebbe penalizzare non (solo) l'ingiuria ma l'intero ordine sociale, il «buon senso omofobo», cosa certamente irrealizzabile. Il secondo testo, L'injure est omniprésente (pp. 66-71), precisa e completa le conclusioni dello scritto precedente: la commissione giuridica di Aides ha ragione di chiedere che l'ingiuria omofoba e l'incitamento all'odio e alla discriminazione degli omosessuali siano passibili di sanzione giuridica; resta che molti discorsi di apparenza intellettuale sono ingiurie eufemizzate o, almeno, incitamenti alla discriminazione, che è impensabile punire attraverso la legge: ma allora la lotta contro l'omofobia dovrà essere condotta sul piano intellettuale e non solo su quello giuridico: «per questo credo che uno dei compiti più urgenti oggi è condurre una critica radicale e intransigente del discorso omofobo nelle sue forme felpate e "scientifiche" o "intellettuali" (io aggiungerei anche "religiose" e "teologiche") al fine di svelarne la verità razzista» (p. 70).
La terza parte del volume si intitola Autour de Réflexions sur la question gay (pp. 73-108) e comprende quattro interventi in margine all'opera maggiore di Eribon. Sono tutti ricchi di idee e spunti da trattenere, ripensare o sviluppare, anche se molto spesso si tratta di idee non originali di Eribon ma attinte ai suoi autori di riferimento, ricomposte però in una sintesi personale, forse non sempre del tutto convincente, ma sempre degna e significativa. Alcuni esempi: la pretesa che l'omosessualità rimetta in questione le norme dominanti e abbia un potenziale «sovversivo» nella società è un discorso vano e incantatorio: non solo essa non la sovverte affatto ma serve spesso come molla per stabilizzarne e rinforzarne i valori; occorre sostituire l'idea di sovversione con quella foucaldiana di «resistenza»: in questa prospettiva entrano sia la lotta per il riconoscimento dell'eguaglianza dei diritti sia la ricerca, per quanto possibile, di uno «scarto» rispetto alla norma, poggiante sull'invenzione di nuove forme di vita, di personalità, di modelli sociali. Anche nelle pagine precedenti l'A. aveva sottolineato che la «sovversione» è ciò che l'ordine sociale oggi concede quasi volentieri ai gay e alle lesbiche, purché gli uni e le altre restino confinati nella loro «sovversione» o in quartieri-ghetto, e non chiedano ad esempio di potersi sposare e adottare bambini. Sono invece, oggi, coloro che desiderano maggiormente integrarsi nella società che destabilizzano maggiormente l'ordine stabilito; e le rivendicazioni che condurrebbero gli omosessuali a essere "buoni genitori, buoni preti o buoni soldati" sono quelle che maggiormente provocano accessi di febbre omofoba (pp. 34-35). E tuttavia, precisa Eribon, non bisogna dimenticare che ci sono mille maniere di vivere l'omosessualità, e che l'imperativo resta quello di reinventare la propria soggettività (ma il modo in cui ciò può esser fatto non può in nessun caso essere prescritto), secondo il percorso, esemplare, di Foucault, che è anche il percorso della costruzione di un omosessuale, e che va dall'identità assoggettata all'identità reinventata e scelta.
La quarta parte, intitolata Livres et recherches (pp. 109-43), raccoglie una serie di recensioni, note di lettura, programmi di ricerca, che contribuiscono a far luce sui riferimenti culturali di Eribon, e in questo senso non appaiono del tutto sconnessi dal discorso che precede. Il saggio di chiusura, «En guise de conclusion provisoire», si intitola La démocratie ouverte et ses ennemis (pp. 145-57), e riproduce l'intervento letto all'Ecole Normale Supérieure il 16 ottobre 1999, tre giorni dopo l'approvazione da parte del parlamento del progetto di legge sul Pacs, in occasione della giornata di riflessione intorno all'opera collettiva, già citata, Au-delà du Pacs. Ma si tratta di un intervento in parte deludente. Andare al di là dei Pacs avrebbe potuto e dovuto significare, secondo i propositi espressi nelle pagine precedenti dallo stesso Eribon, parlare di matrimonio aperto alle coppie dello stesso sesso, di omogenitorialità, di procreazione medicalmente assistita; stilare un programma politico preciso delle rivendicazioni di gay, lesbiche e transessuali; promuovere una riflessione veramente approfondita sul matrimonio e sugli istituti giuridici dai quali gay e lesbiche sono esclusi, nonché sul potenziale di valori, di benefici materiali e soprattutto immateriali, dei quali le persone omosessuali sono private. Pur toccando temi quali il matrimonio e l'adozione, Eribon finisce invece con l'aderire al punto di vista di Leo Bersani, che rimprovera il movimento gay e lesbico americano di contentarsi di mostrare che «gli omosessuali possono essere buoni soldati, buoni genitori e buoni preti» (p. 156); ma così facendo entra in contraddizione con se stesso e con quanto aveva dichiarato alle pp. 34-35. Foucault aveva insistito sul fatto che non si tratta solo di inventare nuove forme di relazione e una nuova socialità, le quali potrebbero essere fondatrici di nuove forme di soggettività, ma anche di inscriverle nel diritto, e aveva parlato, a questo proposito, di un «nuovo diritto relazionale». Eribon segue fedelmente anche su questo punto la sua fonte principale, ma smarrisce la fecondità del concetto, perché sembra, in ultima analisi, preoccupato che il matrimonio faccia perdere a gay e lesbiche tutto il ricco paesaggio della loro diversità, e non s'interroga (lui che parla continuamente di pensiero critico) sulla genesi indotta di tale diverso paesaggio. In realtà Eribon tende a proiettare retrospettivamente sulle varie forme di socialità che gli omosessuali hanno creato nel tempo, e segnatamente nell'ultimo secolo, il concetto foucaldiano di invenzione di nuovi modi di vita, identificando troppo affrettatamente le prime con il secondo: e non si ricorda che Foucault si riferiva con quest'espressione al futuro, a un futuro che deve, certo già a partire da oggi, essere realizzato, e avvenire. E così, nella sua provvisoria conclusione, preferisce assegnare, un po' fumosamente, all'omosessualità «lo statuto di uno spazio problematico e di una sorgente di interrogazione generalizzata in cui nulla può mai essere definito, circoscritto o fissato definitivamente» (p. 157), e agli omosessuali il compito di sostenere le lotte dei sans-papiers e dei precari. Come dire che proprio sul più bello Sartre ha preso il sopravvento su Foucault.