recensione diMauro Giori
Un hombre llamado Flor de Otoño
Dopo la morte di Franco, si apre finalmente per il cinema spagnolo la possibilità di rappresentare l'omosessualità in modo nuovo, serio e militante (prima l'argomento era vietato, salvo che lo si deridesse). Il primo ad approfittare di questa nuova situazione è Eloy de la Iglesia con Los placeres ocultos, ma in breve tempo diversi registi seguono le sue orme. Tra gli altri anche Pedro Olea, che con Un hombre llamado Flor de Otoño sceglie un'ambientazione storica per parlare di riflesso della realtà contemporanea: la vicenda si svolge infatti nella Spagna degli anni '20, ai tempi della dittatura di Primo de Rivera, che si presta bene a fare da specchio al regime appena concluso.
Il protagonista, Lluís de Serracant, di giorno è un giovane avvocato in carriera, talmente apprezzato che la sua famiglia alto-borghese, per altro di illustre discendenza, gli perdona certe sue idee socialiste un po' troppo controtendenza. In realtà i famigliari ignorano che Lluís è assai più radicale nelle sue scelte, sia politiche sia personali. Sebbene, per ovvi motivi, eviti di sbandierarle in pubblico, Lluís prova infatti crescenti simpatie per il movimento anarchico, mentre sul piano personale tiene nascosta a tutti la sua omosessualità, che vive lontano dalla famiglia, cioè nell'appartamento che divide con il suo fidanzato e di notte quando si traveste e canta in un locale, dove è conosciuto con il nome d'arte di Flor de Otoño.
L'intreccio politico, dai risvolti sempre più drammatici, si lega a quello privato: Lluís arriva a organizzare persino un attentato dinamitardo, in cui coinvolge anche il riluttante fidanzato. Nel frattempo, Lluís è vittima della vendetta del protettore di un altro travestito, che lo aggredisce e poi lo lascia di fronte alla porta della madre ancora en travesti. Scampato a questo tentativo di outing, Lluís corre ai ripari e si decide finalmente a fare coming out con la vecchia madre, per altro più perspicace e aperta di quanto egli stesso non credesse. Si tratta di una scena bella, toccante e militante come nel cinema spagnolo non se ne erano mai viste, e lo stesso si può dire delle sequenze di semplice intimità quotidiana tra Lluís e il fidanzato, a cominciare da quella che li mostra al risveglio, abbracciati a letto.
Lluís è insomma finalmente un personaggio drammatico a tutto tondo, lontano dagli stereotipi della loca (l'effeminato stupidotto che furoreggiava in certe commedie), senza per questo essere idealizzato: alcune sue scelte possono infatti risultare discutibili, ma contribuiscono semplicemente a renderlo più credibile e autentico.
Il ruolo del protagonista è interpretato da José Sacristán, che sarà anche protagonista, quello stesso anno, del capolavoro di De la Iglesia, El diputado, e che comparirà ancora nei panni di Flor de Otoño in una breve sequenza di una festa gay privata in Navajeros, sempre di De la Iglesia.
Da non perdere, in un piccolo cameo, un giovane Pedro Almodovar, che in quegli anni aveva appena iniziato a fare qualche cortometraggio. Interpreta, dipinto di nero, la regina delle banane, un altro travestito.