recensione diFrancesco Gnerre
Il mio ragazzo
Nonostante i fondamentalismi religiosi e le leggi omofobe (nel mondo sono circa 90 i paesi che considerano ancora un crimine l'omosessualità), le istanze di liberazione si estendono in maniera inarrestabile in tutti i continenti ed è sempre più fiorente una letteratura che racconta storie d'amore gay ambientate in contesti storici e culturali diversi dal mondo occidentale.
L'ultima arriva dall'India dove solo nel 2009 è stata abolita una legge di epoca coloniale, imposta dalla Gran Bretagna nel 1861, che puniva fino a 10 anni di carcere i rapporti omosessuali anche tra persone consenzienti. Si tratta di un romanzo che racconta con freschezza e originalità una storia tra un uomo e un ragazzo, in cui si fondono, in una Bombay caotica e sensuale, aspetti della tradizione indù e modelli di vita gay occidentali.
Yudi è un giornalista freelance quarantenne che tra un treno e l'altro (abita in un quartiere periferico e passa ore in sale d'attesa maleodoranti o su treni che arrancano fermandosi spesso senza un motivo), ama fare una visita di rito ai bagni pubblici delle stazioni che offrono un repertorio di uomini ventiquattr'ore su ventiquattro. E non deve meravigliare se i cessi sono tra i luoghi più frequentati dal momento che in tutta Bombay esiste una sola discoteca gay e la città conta "più omosessuali degli abitanti di Londra e Parigi messi insieme".
Nel corso di una di queste incursioni una mattina Yudi incontra il giovane Milind, un ragazzo povero, anzi un dalit, un senza casta, un intoccabile.
Tra i due comincia una storia complicata caratterizzata da diffidenze e conflitti, ma anche da tenerezze e abbandoni. Il primo ostacolo è la loro diversa estrazione sociale che in India, dove vige ancora la divisione in caste, è molto più importante che altrove, e a niente valgono i discorsi di Yudi che vuole convincere il suo giovane amante che "gli omosessuali non hanno né casta né religione. Hanno solo la loro omosessualità". Anche il modo di intendere il rapporto tra due uomini è molto diverso. Yudi infatti è un gay 'moderno', che non fa mistero della sua omosessualità e quando è necessario la esibisce anche provocatoriamente come fa con Gauri, una donna invadente che nonostante sia a conoscenza del suo orientamento sessuale continua a considerarlo un potenziale marito, convinta che tutti gli uomini siano attratti per natura dalle donne e se nella loro vita sessuale si è "inceppato qualcosa", non c'è ragione per non "metterci mano e rimetterli in sesto".
Il giovane Milind invece non ha le idee chiare sulla sua identità, è convinto che basta fare l'attivo per essere eterosessuale, è irrequieto e instabile, ancorato ad una irremovibile idea di virilità e prima o poi sposerà una donna, perché, come dice il narratore, "in India il matrimonio è come lavarsi, come pulirsi il culo. Le persone si sposano senza volerlo, proprio come si portano la mano sinistra al culo dopo aver cagato".
Quando Yudi prova ad 'educare' Milind, ad avvicinarlo alle cose che ama (dalla lettura all'arte) e ad introdurlo ad una vita gay meno clandestina e più consapevole, il giovane scompare senza lasciare traccia.
Separati i due vivono una serie di avventure picaresche in situazioni che rispecchiano un mondo complesso in frenetica trasformazione. Alla ricerca di Milind, Yudi intraprende un viaggio nell'India degli intoccabili, fino al faticoso e colorito pellegrinaggio al tempio di Chaitya Bhoomi, in occasione della festività nazionale dedicata alla difesa dei diritti dei senza casta, in un miscuglio di sacro e profano, di tradizione e postmodernità.
Il giovane, attratto dal miraggio di un facile riscatto economico e dalla possibilità di arrivare alla mitica Bollywood per fare il modello o l'attore, finisce in un giro di prostituzione poco gratificante che ci porta a conoscere altri aspetti inediti dell'India di oggi.
Alla fine i due si ritroveranno in una situazione completamente nuova e imprevedibile, in una specie di bizzarra contaminazione di modelli di vita contraddittori.
La storia d'amore di Yudi e Milind è raccontata con leggerezza e intelligenza e il romanzo è una bella testimonianza dell'India omosessuale che fa il suo coming out (e non il suo outing come è scritto sulla copertina del libro dove si utilizza il termine in maniera impropria, secondo un uso ormai diffuso, ma errato, nella maggior parte del giornalismo italiano).