recensione diAlessandro Rizzo
Sa raison d'etre: ventanni di drammaticità in un film esistenziale
Se si vuole tuffarsi nella vivace contemplazione e assaporare la portata poetica della post nouvelle vague non si può prescindere da "Sa raison d'etre" di Renaud Bertrand. Regista e sceneggiatore non corrispondono, ma non per questo la lettura dell'opera, uscita ufficialmente il 26 marzo 2008, comporta discrasie e conflittualità tra il testo scritto, omonimo, e la produzione. Possiamo dire che la produzione riesce a trasporre perfettamente e con fedeltà il narrato in musica, scenografie, fotografia e recitazione, impeccabile quanto intensa e intimista quella di un affascinante Michael Cohen nei panni di Nicolas, uno dei protagonisti. Si assapora con grande senso drammatico la storia, sembra un piccolo Novecento francese ambientato tra gli anni 80 e gli anni 90, di una famiglia benestante e di ceto alto, basata sullo stereotipata e quasi attesa conflittualità tra genitori, conservatori e inclini al cumulo di ricchezze, e i figli, sognatori borghesi con buona formazione e sensibilità culturale. I due figli, Nicholas e Isabelle, sono innamorati follemente di un giovane ragazzo biondo, virile nei comportamenti ma con una forte componente di sensuale delicatezza e dolcezza, Bruno. Isabelle morirà in un attentato, lasciando Jeremy, suo figlio: le vite e le esistenze, nei loro percorsi differenti, si intrecciano grazie a una tragedia e vedrà ripercuotersi altre vicissitudini devastanti che costelleranno le esperienze dei due ragazzi, Nicolas e Bruno, che decideranno di convivere per accudire il piccolo.
Si parla della piaga dell'Aids, la narrazione ha inizio nel 1981, quando la malattia mortale veniva ancora definita come virus solo per gli omosessuali, generando controversie, esclusioni, emarginazioni, persecuzioni di un'intera comunità da parte della società. Tale contrasto si esaspererà all'interno delle pareti domestiche, la madre di Nicolas non accetterà mai l'omosessualità del figlio. Nicolas proseguirà sul proprio percorso, vedendo e incontrando amori e passioni, esilaranti ed eccitanti sono le scene di sensualità passionale, senza mai scadere nel volgare e nel grossolano, di cui è intrisa l'opera, promuovendo confronti e dialoghi con i propri "simili", costituendo progressivamente una grande famiglia, intessendo rapporti affettivi forti e insolubili con chi è colpito da tale epidemia. Sono tristi e fortemente toccanti le diverse scene dei funerali delle giovani vite spezzate da un flagello, così lo dipinge una certa inclinazione omofoba, senza averne colpa, senza aver avuto la possibilità di costruire una propria autodeterminazione, senza avere avuto il tempo di affermare la dignità dei propri amori e dei propri sentimenti. Nicolas cercherà di lottare, un impegno civile prima che politico, per scalfire il muro impermeabile del pregiudizio, soprattutto quando una trasfusione di sangue infetto vedrà il proprio amico, Bruno, colpito dal virus. Lo scandalo del sangue infetto diventerà caso nazionale, un'ignominia dovuta a un'incuria del potere e a una prevalenza di interessi privati ed economici. Il film non scade mai nel vittimismo, nella compassione e nel pessimismo esistenziale, ma cerca di affrontare con lucidità storica un'intera generazione che ha dovuto ripensare il proprio ruolo, rileggere la propria identità, indebolita ma non abbattuta da una malattia che non perdona.
L'aspetto tecnico riporta la poeticità artistica della commedia post nouvelle vague, fatta di inquadrature fisse a tutto campo, perduranti e fotografanti dialoghi, dando visibilità corporea e fisicità quasi plastica alle emozioni, classico intimismo di certa cinematografia francese.
La fotografia vede tinte sporche, spesso imperfette, per dare il senso di realismo di una narrazione che non vuole scadere in spettacolarizzazione. Si parla di dolore e di vite spezzate, di drammi e di tragedie, dove il personale diventa pubblico, dove la distanza culturale che Nicolas avverte esserci con i propri genitori diventa sentimento collettivo, situazione condivisa coi propri coetanei. Non si percepisce mai un'esasperazione della sofferenza, rappresentandola con sobrietà e pacatezza, quel tatto umano che contraddistingue la raffinatezza stilistica di una poetica intramontabile. Si può dedurre una sorta di volontà di riscatto, Nicolas raffigura un giovane che non demorde e che non si adagia al destino perfido, in una comunanza dei destini che vede una forte solidarietà e una forte pietas rappresentata da una recitazione di un cast impeccabile e sincero, reale quanto incisivo.
Il film, come già preannunciato, è tratto dall'opera dello stesso sceneggiatore di "Un amour à taire" ed è realizzato dalla mano del regista di "Clara Sheller". Nasce inizialmente come serial televisivo ed è stato trasmesso in due puntate dalla tv francese, ma una certa cinematografia artistica prevale senza scadere nella semplificazione e nell'accelerazione riduttiva tipica della produzione adatta per i media, spesso improntata su effetti speciali e su un'economia delle risorse.