recensione diGiovanni Dall'Orto
Per quella lei ci muore (2010). Delitto passionale e lesbismo per gli Ardecore.
Con un martellante ritmo "ska" e con la voce roca ma piacevole del solista degli Ardecore, ecco la storia d'un delitto passionale.
"Lei" se ne va di casa per un uomo che ha voluto "prepotentemente", ma "dopo appena un anno" scopre che lui non era ciò che voleva, al punto che nella famigliola vien meno persino la voglia di cenare in casa assieme.
Ciò che "lei" vuole davvero, finisce per trovarlo altrove:
Lei adesso sta al telefono parlando con l'amica
(che non è più amica -- come crede lui)
e sente che l'amore non ha sesso, non si può fermare:
è quello che ti chiama a vivere,
non a morire.
Ma intanto lei non scappa via,
anche se al mondo chi ha un'idea
"per quella, lei ci muore".
Il problema di questa canzone, che mi ha un poco infastidito, è che è costruita su un frigido gioco di parole: prima dice che chi ha un ideale è disposto a morire per esso, poi presenta la protagonista della canzone mentre è lì che muore dietro alla sua amica, e infine mentre è vittima della gelosia del suo uomo che, scoperta la tresca, l'accoltella a morte. Mi sfugge dove stesse la necessità artistica di creare questo triplice strato di significati mortuari, soprattutto per il fatto che è la presentazione stessa dell'amore lesbico come "ideale" a lasciarmi perplesso. Infatti l'amore passionale è prima d'ogni altra cosa un sentimento, e non certo un'idea fissa che una si ficca in testa per chissà quali motivi, fino al punto di lasciarci stupidamente le penne...
La scelta del tema di cronaca nera da parte degli Ardecore sarà anche dettata da un'esigenza di originalità, come lo sarà pure la scelta d'un amore lesbico, visto che di delitti passionali a sfondo eterosessuale sono già pieni gli archivi e le canzonette.
Ed io non credo (mi rifiuto di credere) che nel 2011 qualcuno abbia voluto, anche solo inconsciamente, riesumare la regola vigente per romanzi e film negli anni Sessanta e Settanta, quando di amori omosessuali si poteva parlare solo a patto che andassero a finire male, altrimenti scattava l'accusa di "offesa al comune senso del pudore".
Ciò detto, resta comunque il fatto che questo video richiama alla mente proprio quel tipo di approccio al tema, e ciò non è certo gradevole.
Quanto al video in sé, è professionalmente curato e nitido, con il cantante (di ottima presenza scenica e bravo a gestire mimicamente la narrazione) che si alterna a due attrici e un attore che "sceneggiano" (senza nessun colpo d'ala né alcuna situazione particolarmente esplicita) il testo della canzone.
La resa è volutamente un po' "sporca", come si addice alla narrazione d'un fattaccio di cronaca nera, con atmosfere a tratti claustrofobiche e il clou girato in piena notte.
Il clip non dice insomma nulla di nuovo sulla tematica omosessuale, ed è un peccato, perché la confezione è gradevole e la musica martellante è molto adatta al tema scelto.
Per finire, non posso fare a meno di notare che, assieme ad altri prodotti, anche questo filmato segnala il crollo (a partire dal 2010) del tabù tutto italiano sulla messa in scena degli amori omosessuali nei videoclip, dato che anche in canzoni a tematiche spudoratamente gay (che so: "Gino e l'alfetta") fino ad ora i registi hanno preferito, terrorizzati, "parlare d'altro".
Ben venga, allora, questo cambiamento... anche se avremmo preferito che non fosse inaugurato proprio dall'ammazzamento d'una lesbica fedifraga nel mezzo d'una strada...