Les biches

19 marzo 2012

Di tutti i registi della Nouvelle vague, Claude Chabrol è notoriamente quello che più di ogni altro ha lavorato sul genere giallo, intrecciato con ritratti più o meno caustici dell’alta borghesia francese. Les biches non fa eccezione. Fin dall’inizio, si comprende bene che l’enigmatica Why non è solo una ragazzina capricciosa, come crede Frédérique, ma è molto di più: una nuova aggiunta alla galleria di donne ambigue e un po’ disturbate che popolano il cinema chabroliano (basta vedere Il buio nella mente e La damigella d’onore). Quando poi, giunta alla casa di Saint Tropez, la ragazza si mostra incuriosita dal pugnale avvelenato, è già chiaro che qualcosa dovrà finire male.

Il rapporto che lega la ricca Frédérique e la vagabonda Why interessa a Chabrol solo come pretesto per creare un complicato intreccio sentimentale e spingere Why verso il baratro. Non bisogna quindi chiedere troppo a questo ritratto di lesbiche d’antan, e non rimane che rassegnarsi agli improvvisi mutamenti sentimentali dei personaggi nel momento in cui entra in gioco Paul, che prima va a letto con Why e poi si innamora di Frédérique. Le due giocano a distanza fra di loro, usando in modi diversi l’uomo. Poi, improvvisamente (e lo strappo è talmente imprevisto da essere ovviamente voluto nella sua mancanza di giustificazione), l’algida Frédérique si ritrova innamorata di Paul.

Ma proprio il gelidume dei personaggi (Paul incluso), e la riduzione di ogni relazione a gioco annoiato da borghesi con troppo tempo libero, privano ogni snodo di verosimiglianza psicologica. La razionalità, semplicemente, a Chabrol non sembra interessare. A contare sono invece la progressiva perdita della ragione da parte di Why e la sua crescente identificazione con Frédérique, nel suo disperato tentativo di amarla amando allo stesso tempo Paul. E soprattutto nel tentativo ancora più disperato di farsi amare da entrambi.

Da un punto di vista politicamente corretto, il film è disperante e non sa far di meglio che ricamare sulla solita lesbica fuori controllo e omicida, circuita all’inizio da un’altra lesbica che si converte poi improvvisamente all’eterosessualità e infine offende pure la prima dicendosene disgustata. Nonostante ciò e anche nel suo finale cruento, in fondo Les biches rimane però una storia d’amore, come può esserlo in un contesto studiato solo per fare funzionare un meccanismo razionale di genere.

Una storia d’amore ritratta in modo piuttosto esplicito per l’epoca: il film si apre senza preamboli su Frédérique che rimorchia Why per strada e se la porta a casa, la squadra mentre fa il bagno e la spoglia senza troppi complimenti appena si è rivestita. Poi tutto si fa confuso: Chabrol evidentemente non può dire troppo, lascia intendere, introduce una coppia di giullari grotteschi che vivono a scrocco nella villa di Frédérique e sembra di capire stiano pure insieme; aggiunge un’altra coppietta lesbica fra le frequentazioni di Frédérique; ecc. Ma del non poter dire troppo il regista approfitta per aumentare l’ambiguità di tutta la vicenda.

I distributori italiani approfittano a loro volta goduriosamente: si veda come la locandina italiana con un disegno rilegga in chiave soft-porno la assai più sobria scena della seduzione di Why, mentre nel titolo avvicina articolo e sostantivo, in modo da farlo diventare “lesbiche” con una “s” di troppo, giusto per attrarre con i soliti pruriti gli spettatori affamati di scabrosità. All’epoca il mercato funzionava così.

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autoretitologenereanno
Eric Rohmer, Claude ChabrolHitchcocksaggio1986

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