Una mutanda è una mutanda è una mutanda... (a volte)

19 giugno 2012

Come si riconosce un film confezionato a tavolino per un festival gay? Qualche buon indizio: nei primi cinque minuti si vedono più di tre ragazzi in mutande (di cui almeno due impegnati a letto); non è mai possibile comprendere se il protagonista ride o piange; una voce over spiega perché la storia non è banale come sembra ma è l’Amleto del 2000; viene introdotta almeno una donna giusto perché ci sono anche loro al mondo; intorno al quarto minuto si comprende l’intero sviluppo della storia.

Un esempio a caso: Holding Trevor.

Sequenza 1: Trevor, in mutande, sta cercando di farsi aprire la porta dal fidanzato Darrell, che si è chiuso in bagno, in mutande. Quando Trevor strizza gli occhi sembra che abbia sonno (come noi); quando scopre i denti pare che stia ridendo (come noi). Invece in entrambi i casi vorrebbe esprimere disperazione: lo capiamo dalla situazione.

Sequenza 2: una ragazza viene interrotta durante la sua masturbazione quotidiana dall’amico gay rompiscatole che, mentre uno sconosciuto è in altre faccende affaccendato sotto le sue lenzuola, si è ricordato che stava aspettando Trevor, il quale non si è presentato. Va da sé che l’amico e lo sconosciuto non indossano nemmeno le mutande.

Sequenza 3 (continuazione della 1): Trevor cerca di risvegliare Darrell, che è in overdose. Sembra che rida, ma piange (come noi, ma per motivi diversi). Incalzato da una musica rock casuale (che insieme a casuali movimenti di macchina dovrebbe trasmettere tensione), Trevor capisce che magari è il caso di chiamare aiuto.

Sequenza 4: Trevor è rassicurato da un piacente giovane dottore (vestito), ma non prima che la sua voce mentale filosofeggi generalizzando la sua situazione («Tutti cerchiamo qualcosa, qualcuno, ecc. ecc.»).

Siamo a 3 minuti e 09 secondi dall’inizio del film: un record, e abbiamo già capito che Trevor e il dottore…

Ovviamente il problema non sono i ragazzi in mutande né (tanto meno) quelli senza. Lo preciso perché uno degli amici con cui ho fondato anni fa questo sito mi rimprovera spesso di lamentarmi del proliferare nei film dei ragazzi in desabillé. Pare che sia sconveniente per un omosessuale lamentarsi di quello che per il pubblico gay è un valore aggiunto. Il problema mi sembra sia a cosa si aggiunge il valore: se è il nulla, il nulla rimane.

A me non piacciono solo i ragazzi, mi piacciono anche (per altre ragioni) Margherita Hack, il tè verde, i muffin, i cani, gli alberi e Mozart. Ma non scriverei bene di un film che si limitasse per calcolo a mostrarmi un’astronoma ottuagenaria che porta a spasso un cane pucciando muffin nel tè in un parco sulle note della Jupiter. Soprattutto se fosse in mutande.

I film che mirano pavlovianamente al potere d’acquisto del loro spettatore d’elezione mi irritano e non riesco a liberarmi da quest’idea romantica di uno spettatore pensante che guardi anche altro, tanto più in un’epoca in cui i giovani adamitici sono a portata di click e non occorre certo l’Holding Trevor di turno per vederne.

Ovviamente c’è stato un tempo in cui avremmo pagato ben più di un biglietto per avere un Holding Trevor, ma oggi film del genere non hanno più giustificazione. E c’è stato un tempo in cui il solo fatto di mostrare un ragazzo con o senza mutande era un atto eversivo in sé carico di valore controculturale, rispetto ai pudori custoditi con demenziale pedanteria dalla censura. Ma i tempi (finalmente) sono cambiati e oggi che queste rappresentazioni sono ovunque il problema è diverso. Se il ragazzo viene spogliato solo per distrarci dal dilettantismo, o se la voce over viene usata solo perché la sceneggiatura non basta a se stessa, se insomma il regista è così sicuro del suo fallimento da necessitare di trucchi e lustrini, allora c’è un problema. E il problema è che questa ora e mezzo poteva essere meglio spesa, fosse anche solo per fare una lavatrice.

Non ho mai sostenuto che si stava meglio quando si stava peggio (tra l’altro non ci credo che in Italia i treni siano mai arrivati puntuali, neanche quando c’era lui). Però quando vedo film come questo provo un po’ di nostalgia per i tempi in cui le pellicole gay erano più centellinate e non tutti pubblicavano a diciotto anni la loro ricerca del tempo perduto convinti che tutti abbiano tempo da perdere per leggerla.

E se proprio ci si vuole somministrare la rapa, si eviti almeno di cavarne a tutti i costi del sangue sotto forma di pensierini sull’universo e il senso della vita. In fondo alle volte, come diceva Freud dei sigari, una mutanda è solo una mutanda.

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