recensione diGiovanni Dall'Orto
Giochi pericolosi, "Mister No" n. 245, ottobre 1995.
Si muove collezionando un cliché scontato via l'altro, questa insipida avventura nella Cuba prerivoluzionaria, tanto che non è pensabile non trovarci il cliché del ricco, viziato, sfaccendato crudele e decadente omosessuale che mantiene e corrompe un adolescente, insegnandogli che la morale non esiste.
I due si divertono ad assistere, per puro spasso, alle torture dei loro prigionieri ma, insoddisfatto del vortice di piacere decadenti a cui l'ha iniziato l'amante, il riccio e bruno adolescente decide di provare l'emozione del tradimento.
Siamo di fronte a una specie di Genet rimasticato e predigerito per teste di coccio, insomma.
Ovviamente tutto ciò non potrà che finire male, e sia il ricco decadente che il riccio decadente verranno giustiziati (da agenti della Cia, scontenti dei loro intrighi politici che interferiscono con i loro).
La relazione fra i due non è mai raccontata in modo esplicito, ma è evidente dai loro gesti, dalla loro intimità, dalla famigliarità con cui il ragazzo tratta l'adulto, e dal fatto che il ragazzo sappia dove il suo partner tiene la pistola quando va a dormire (in un letto a due piazze).
Ciononostante, tutto è gestito deliberatamente in modo tale che un lettore particolarmente ottuso e quindi particolarmente omofobo potesse interpretare il rapporto fra i due personaggi come il rapporto fra un padre e un figlio.