recensione diStefano Bolognini
Liberami
Eva, una giovanissima giornalista, sta svolgendo una complessa inchiesta sulla prostituzione e sulla tratta di donne in una Trieste solo accennata, che appare e scompare come illuminata da flash fotografici, che accendono le notti e le miserie della prostituzione, per riportarle istantaneamente nell'oblio.
Il romanzo è costruito come un flusso di pensiero, tanto la narrazione è ridotta all'osso. E' un continuo travaglio interiore quello che vive la giornalista tra riflessioni sul consumo dei corpi e incomunicabilità.
C'è la redazione, l'inchiesta da concludere e qualche amicizia, ma la sommatoria del tutto è una vita piatta e una tristezza plumbea. C'è pure un collega giornalista e amante superficiale, e tanta, troppa aridità nei rapporti umani.
Ma una luce abbagliante, non il faro dell'ennesima auto che ferma una donna almeno questa volta, illumina tutto. E' una donna albanese che in redazione cerca la giornalista: ha fretta di riportare a casa la sorella, finita sulle strade di Trieste.
Eva si farà travolgere dall'amore per la donna, e con lei vivrà il dramma della scoperta di una sorella che ha abbracciato la prostituzione per volontà fino all'estremo sacrificio. Ma è volontà poi?
Liberami è un crescendo nella riconquista dei sentimenti e degli affetti reali: "il profumo della sua pelle mi calma, mi toglie il peso delle parole, non riesco a vedere il suo volto ma lo sento, la sua bocca è piegata in un sorriso".
Piace la costante sospensione di giudizi che opera l'autrice, senza mai indicare al lettore cosa sia giusto o sbagliato. Qualche ingenuità stilistica e un poco di rigidità non tolgono il piacere della lettura di un dramma contemporaneo.