Intervista a Davide Pulici su Fernando Di Leo

21 novembre 2016

Il maestro del noir all'italiana Fernando Di Leo, come la gran parte dei registi e sceneggiatori suoi coetanei, non disdegnava l'utilizzo di macchiette di vario genere per colorire anche i suoi film più spietati. Come poteva quindi rinunciare all'utilizzo della macchietta più pittoresca in voga negli anni Settanta, quella del gay effeminato? Nel forsennato La mala ordina compare incongruamente un cameriere ancheggiante con un micidiale accento pugliese, mentre nello scanzonato Gli amici di Nick Hezard Giò Stajano – autodefinitosi “il primo omosessuale d'Italia” – impersona un flautato gioielliere preso per i fondelli da Luc Merenda. E ancora: nell'ibrido Avere vent'anni incontriamo il leggendario attore Vinicio Diamanti, per una volta non en travesti, nei panni di un barista bisbetico e scheccante.
Ma nello stesso film troviamo pure una coppia di lesbiche, una virago femminista con fidanzatina al guinzaglio, che si confronta aspramente con le protagoniste del film, Lilli Carati e Gloria Guida, le quali talvolta – in assenza di partner maschili desiderabili – si scambiano effusioni per puro svago. Un'altra coppia lesbica, offerta al voyeurismo dello spettatore, viene mostrata nella sua intimità ne La bestia uccide a sangue freddo. Due travestiti omicidi appaiono nelle tenebre de I ragazzi del massacro e de Il poliziotto è marcio, mentre l'attore/regista più camp della cinematografia italiana Vittorio Caprioli figura prima come scapolo gattaro nello stesso Il poliziotto è marcio e poi come chaperon dell'omoerotico duo di duri Al Cliver-Harry Baer ne I padroni della città.
Ma Di Leo aveva anche altro in serbo in materia di omosessualità, un film che avrebbe dovuto chiamarsi Uno di quelli (Il pederasta). Ne abbiamo parlato diffusamente con Davide Pulici, fondatore della rivista Nocturno con Manlio Gomarasca, nonché custode della memoria di Di Leo.

Tra i registi cari a Nocturno secondo te ce n'è stato uno che abbia tentato di fare qualcosa di diverso dal cliché dell'omosessuale macchiettistico che si vedeva nel cinema di genere di quegli anni?
Che io sappia, Fernando Di Leo è l'unico o tra i pochissimi che abbia scritto una sceneggiatura che non era in chiave comica-leggera, ma in chiave seria, sull'omosessualità maschile. Questo film, che si intitolava Uno di quelli, fu organizzato e lo si cominciò a girare intorno al maggio del 1970; dopo un paio di settimane di riprese, la cosa venne interrotta. Io domandai più volte a Fernando perché si fosse partiti per poi fermarsi subito dopo. Lui mi disse che a un certo punto c'era stato un dietro front da parte dei distributori, perché il cinema allora funzionava così: si facevano venti telefonate ai distributori e se quindici dicevano okay, il film poteva essere fatto (ti davano gli anticipi, i minimi garantiti e tutte queste cose qui), quindi la distribuzione dettava legge. In un primo tempo sembrava che questo film potesse essere fattibile, poi a un certo punto arrivò questo niet da parte dei distributori, e il film fu interrotto. Il materiale che fu girato fu anche reclamizzato sulle riviste di settore, poi non si sa che fine abbia fatto, probabilmente è andato perso. La sceneggiatura io ho avuto modo di leggerla, ed è interessante, decisamente all'avanguardia.

Di cosa tratta?
È la storia di un piccolo ragioniere proveniente da un paesino del Sud Italia – quindi da una famiglia “normale” con fidanzata, posto fisso etc. – che comincia a sentire dentro di sé che c'è qualcosa di strano: i suoi istinti non lo portano più verso le donne ma verso gli uomini. La sceneggiatura è interessante perché si apre con un lungo dialogo tra il protagonista (che si chiama Teodoro Zentra, abbreviato in Teo, interpretato da Peter Tracy) e un medico. Quest'ultimo molto razionalisticamente gli dice che la sua non è considerata una malattia dalla medicina e lo tranquillizza in termini crudamente scientifici. Il problema è che il ragazzo vive una drammaticità in quel momento perché si sente ovviamente scisso. La sceneggiatura si sposta a Roma, dove Teo ha la possibilità di incontrare tutta una serie di personaggi, segnatamente un suo superiore nell'azienda dove va a lavorare, Valle (Gianni Macchia); Valle è un bisessuale felice, molto cinico, che gli prospetta quale sia l'esistenza per un omosessuale in una metropoli come Roma, laddove non voglia stare nel ruolo che la società gli assegna e cerchi di essere qualcosa di diverso. Quindi ci sono questi dialoghi molto crudi, molto feroci, in cui Valle gli dice: «Guarda che se tu pensi di poterti accasare, di poter mettere su famiglia, sei un folle; ti faranno fuori, soprattutto se cerchi di uscire allo scoperto». E gli fa un discorso ancora più cinico, perché gli dice: «Se sei un omosessuale ricco, nessuno ti dirà niente, se sei un omosessuale povero ti distruggeranno».

Nel film sarebbe dovuto comparire anche Gino Milli, già comparsa in Splendori e miserie di Madame Royale e successivamente travestito omicida ne Il poliziotto è marcio di Di Leo...
Sì, nella sceneggiatura viene poi descritto il rapporto tra Teo e Lucio, un ragazzo di borgata interpretato appunto da Gino Milli; Teo si innamora di questo ragazzo, che però è quello che si definiva allora un marchettaro, uno che fa la vita. A suo modo è un personaggio puro, un personaggio pasoliniano, ma che non può dare a Teo quello che Teo cerca. Il grosso problema di Teo è che lui ha dei sentimenti e vorrebbe cercare di vivere la propria affettività nella maniera più naturale possibile, però trova intorno a sé persone che gli propongono una visione della vita troppo cinica, oppure gli possono offrire solamente sesso.

L'idea che l'omosessuale fosse destinato a una vita affettiva irregolare era continuamente ribadita dal cinema di quegli anni.
Sì, c'è sempre quest'idea che l'omosessualità fondamentalmente abbia a che vedere con il sesso, senza interesse a capire che esiste il mondo dell'affettività nella sua ampiezza, nella sua totalità. Qui invece la sceneggiatura è molto aderente alla ricerca d'amore del protagonista, che però alla fine resta sospesa: a chiudere la sceneggiatura c'è un lungo dialogo con un prete, il quale ripropone una serie di stereotipi, di luoghi comuni che la società dell'epoca proponeva rispetto a quelli che all'epoca erano chiamati i diversi. La cosa abbastanza interessante di questa sceneggiatura è che ha degli aspetti kafkiani, degli squarci visionari che sono aderenti a certe visioni di Teo, che è un personaggio molto tormentato (a un certo punto viene raggiunto dalla fidanzata, la quale tenta di sedurlo, ma Teo non ce la fa e ha una visione in cui, per compensazione, immagina di possedere tutta una serie di donne diverse). Mi colpisce l'idea che poi della vita di Teo non si sappia come andrà a finire. Sì, arricchisce la sua conoscenza di un mondo che all'inizio non sapeva neanche che esistesse, quello degli omosessuali, però non c'è una soluzione, non c'è una parola di speranza, cosa che risponde a quel modo abbastanza nichilista che Di Leo aveva – sia nel noir sia negli altri generi – di rappresentare e vedere le cose.

Dalla sceneggiatura si intuisce se c'era la possibilità di girare qualche scena corale con vari omosessuali riuniti?
Sì, c'è una scena in cui Lucio introduce Teo a una serie di altri ragazzi suoi amici, che parlano della propria vita – ovviamente tutti in romanesco stretto – e del commercio che fanno del proprio corpo, in termini anche abbastanza crudi e realistici. C'è un'altra scena in cui Paolo, il libraio che Teo incontra appena arrivato a Roma, porta Teo in Piazza del Popolo perché lì c'è un punto di ritrovo di ragazzi omosessuali e non solo; si vedono per esempio due giovani muratori che sono lì dopo aver finito il loro orario di lavoro... per integrare. C'è una descrizione che inevitabilmente cede un po' al pittoresco: Teo la sera sta camminando immerso nei suoi pensieri e passa vicino a un vespasiano, dove ci sono due vecchi signori che gli fanno dei cenni... ovviamente c'è qualche concessione a quello che era l'immaginario di allora rispetto agli omosessuali e la sceneggiatura risente evidentemente di essere stata scritta nel 1970. Però in altri momenti prefigura dei temi che sarebbero emersi solamente col tempo; per esempio Valle dice: «Ma tu pensi di poter vivere come fanno in Danimarca, dove si sposano, dove vivono felici, dove hanno dei bambini eccetera eccetera e nessuno dice loro niente?».

Di Leo è interessante perché ha saputo alternare figure tipicamente macchiettistiche (come il camerierino gay pugliese de La mala ordina) con altre più sfumate, più insolite, o in certi casi anche di una malvagità estrema, come il travestito de Il poliziotto è marcio. Ma ancor più atipica è l'aggiunta di una componente omoerotica alla sceneggiatura di Uomini si nasce, poliziotti si muore diretto da Ruggero Deodato... quella fu proprio un'iniziativa di Di Leo?
Ne avevamo parlato di questa cosa, ed era stato lui a dirmi che quando aveva scritto questa sceneggiatura aveva voluto dare a questi due poliziotti questa sfumatura, questo profumo omoerotico. Negli ultimi tempi Fernando non faceva più cinema, quindi si divertiva a prendere le sceneggiature che aveva scritto e a trasformarle in romanzi, a volte mescolando insieme due film differenti. Uomini si nasce, poliziotti si muore era uno di quelli a cui aveva messo mano, incrociandolo con Colpo in canna, che è un film con Ursula Andress. In questa riscrittura fatta in tarda età, aveva messo in luce non tanto l'omosessualità quanto la bisessualità dei due personaggi: ci sono delle scene in cui loro fanno una sorta di ammucchiata con una ragazza e viene detto esplicitamente che poi, già che son lì, indulgono anche in atti tra loro. Ma questo era perfettamente nella natura di Fernando, il quale una volta mi fece questo discorso: «Mi trovavo a Venezia in occasione del Festival del Cinema, e mi trovai di fronte Maximillian Schell; lo guardai e in quel momento mi sembrò uno degli uomini più belli che avessi visto nella mia vita. È stata la prima volta in vita mia che ho rimpianto di essere... non omosessuale, ma bisessuale. Se io fossi stato bisessuale avrei potuto vivere molte più esperienze di quelle che ho vissuto nella mia banale eterosessualità, però purtroppo io quelle pulsioni lì non le avevo e quindi mi sono negato una grossa parte di esperienze nella mia vita». Forse è anche per compensare questo fatto che spesso i suoi eroi e più frequentemente le sue eroine sono felicissimamente bisessuali.

Anche in Un colpo in canna doveva essere così.
Assolutamente, per come era stato scritto originariamente, Ursula Andress è una che ha esperienze con uomini e con donne ed è ugualmente appagata dall'andare sia con uomini che con donne. Poi nel film questo si è perso perché questa parte è stata mitigata. Ma del resto quella del lesbismo era una fissa di Fernando (penso ad Avere vent'anni)tant'è che in quella serie di romanzi che poi scrisse in tarda età moltissimi sono a componente lesbica, su tutti Le donne preferiscono le donne.

A te vengono in mente altri poliziotteschi in cui la dimensione omoerotica venga valorizzata?
No, il poliziottesco è un genere abbastanza conservatore, vive molto di stereotipi. Se io penso alla rappresentazione degli omosessuali nel cinema poliziesco mi vengono in mente delle cose come un film ambientato in Canada che si intitola Una Magnum Special per Tony Saitta (è uno dei film cult di Tarantino), diretto da Alberto De Martino. Qui c'è una scena in cui Stuart Whitman si piglia a botte con tre travestiti in una scena violentissima girata molto bene. Ecco, è quella più che altro che prevale: la dimensione del travestito e dell'omosessuale; ma pensiamo anche, senza andare lontano, a I ragazzi del massacro, sempre di Di Leo: nello sviluppo finale l'assassino è un travestito.

Però anche vederli in chiave malvagia è qualcosa di diverso da quello che si vede di solito. Piuttosto che vedere sempre la checca costretta a fare da delatrice, o il travestito obbligato a smerciare merce contraffatta...
Nel genere del poliziesco c'è anche una bellissima scena in un film di Enzo G. Castellari del 1980 che si intitola Il giorno del cobra: una bella donna si rivela un travestito, e comincia un pestaggio incredibile con Franco Nero in una specie di sala da discoteca. Ecco, il travestito che mena è una cosa che ritroviamo spesso e volentieri; mi viene in mente anche un poliziesco meno conosciuto che si chiama Quel maledetto pomeriggio dove c'è un pestaggio violentissimo tra Alberto Dell'Acqua e alcuni travestiti. Chissà perché vengono visti in una chiave così violenta, feroce, fumettistica... ci deve essere qualche influenza strana, qualche suggestione che è arrivata dall'America che probabilmente influenzava questo modo di vedere il travestito...

Nel documentario tratto da Lo schermo velato di Vito Russo viene mostrato uno spezzone di Una strana coppia di sbirri (Freebie and the Bean), in cui James Caan si picchia ferocemente con un travestito. Considerando che il film è del 1973, potrebbe aver lanciato la tendenza...
È possibilissimo che sia Una strana coppia di sbirri ad aver dato origine a queste scene, niente di più probabile. Di solito funzionava così: la sceneggiatura di Una Magnum special per Tony Saitta l'ha scritta Vincenzo Mannino, che era uno che vedeva molti film. Gli sceneggiatori vedevano e acchiappavano queste cose. Sai, a volte non è neanche un processo consapevole, cioè vedo qualcosa, mi resta lì nella testa e poi viene fuori.

Tornando a Uno di quelli, secondo te avrebbe potuto costituire una vera novità nell'ambito della rappresentazione degli omosessuali nel cinema italiano?
Beh, ovviamente tra la possibilità e l'essere ce ne corre, però secondo me, sarebbe stato sicuramente qualcosa di eterodosso rispetto al resto, questo è poco ma sicuro. In quegli anni è mancato forse il film che facesse la differenza, quello che si staccasse in maniera anche netta, in modo anche polemico rispetto agli altri. Ma anche in tempi più recenti... alla fine degli anni Ottanta era stata scritta da Luigi Spagnol una sceneggiatura stupenda che si intitolava Il sangue degli angeli. È la sceneggiatura di un thriller dove l'omosessualità maschile ha un ruolo centrale, e questo film – che doveva essere girato a un certo punto da Michele Soavi – non c'è stato verso di farlo, e sì che stiamo parlando di tempi più recenti! Non si è trovato nessuno che avesse il coraggio di fare un film del genere. Io continuo ad avere l'impressione che in Italia non sia mai stato fatto il film “serio” che affrontasse il tema dell'omosessualità in maniera seria, nuda e cruda, non in chiave leggera o melodrammatica. Io non me lo ricordo, ma non credo che ci sia mai stato, anche da parte di registi di grande nome... vogliamo dire Una giornata particolare di Scola? Sono sempre film molto amabili, ma non riescono a descrivere l'omosessualità in maniera – come ho detto – nuda e cruda.

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