Mani di fata - Pozzetto VS il Gender

6 luglio 2017

La messa in discussione dei “ruoli di genere” tradizionali, intesa come effetto deleterio di una modernizzazione esasperata, è un tema che il cinema e la televisione hanno cavalcato spesso e volentieri per fare dell'ironia più o meno sofisticata sulla femminilizzazione degli uomini e sulla mascolinizzazione delle donne. Al di là delle facili risate prodotte dalla visione di un Cary Grant vestito da infermiera militare (in Ero uno sposo di guerra) o di una Doris Day bardata da pistolero (in Calamity Jane), la tematica dello “scambio di ruoli” tra moglie e marito è un'efficace cartina tornasole per rivelare il conservatorismo degli autori di un film.

Su questo versante, Mani di fata rappresenta un'involuzione abbastanza vistosa nel discorso che la Famiglia Vanzina (nel caso specifico Steno più il figlio Enrico, che però è stato coinvolto in modo marginale nella scrittura del film) stava sviluppando assieme a Renato Pozzetto a partire dal precedente La patata bollente (1979). Infatti, a rivedere Mani di fata a distanza di trent'anni e passa, potrebbe quasi sembrare un apologo anti-gender ante litteram, anche se leggero e niente affatto aggressivo.

La coppia che viene messa alla prova dal fantasma del gender è costituita da Renato Pozzetto ed Eleonora Giorgi, novelli Spencer Tracy e Katharine Hepburn, ma più borghesucci e meno svegli, vittime consenzienti della rincorsa al benessere collettiva, come in ogni film sugli anni Ottanta che si rispetti. Pozzetto è Andrea Ferrini, un ingegnere che lavora al servizio di due negrieri gemelli omozigoti, i Fratelli Ceretti, i quali fanno rotolare la sua testa non appena l'azienda comincia a fallire. Dopo il licenziamento, Andrea “si umilia” facendo il casalingo, mentre è la moglie Franca a portare il pane a casa, facendo carriera come stilista.

Andrea patisce le classiche pene della massaia e, quando la moglie torna a casa dal lavoro, è lui a dover elemosinare le sue attenzioni, con le stesse dinamiche intessute vent'anni dopo da Marc Cherry attorno ai personaggi di Tom e Lynette Scavo in Desperate Housewives. C'è anche una scena molto simile di seduzione mediante una biancheria sexy: Pozzetto induce in tentazione la moglie (che sta leggendo la rivista Capital) utilizzando dei mutandoni leopardati, mentre Tom Scavo si propone a Lynette con degli aderentissimi slip neri. Ma mentre Lynette cede, Franca si addormenta come un sasso.

Insoddisfazione sessuale a parte, Pozzetto/Andrea riceve anche delle sorprese positive dalla mutata situazione familiare: scopre di essere molto portato alla cura domestica, grazie anche alla sua razionalità ingegneristica. Decide quindi (entro la prima – e meno briosa – metà del film) di sfruttare questo suo talento a livello professionale, divenendo maggiordomo della Contessa Irene (Sylva Koscina). Costei è naturalmente attorniata da cortigiani mediamente debosciati, il più temibile dei quali è l'Architetto Persichetti, un gay famelico ma sotto sotto sentimentale interpretato da un insinuante Maurizio Micheli, il quale con la sua bravura dimostra che anche un personaggio caricato dei più frusti stereotipi (è misogino, petulante e predatore) può diventare amabile se affidato a un attore di razza. E – a onor del vero – è proprio a lui che spettano le battute più azzeccate, laddove a Eleonora Giorgi toccano quelle più didascaliche e a Pozzetto quelle più... pozzettiane.

Il Persichetti tenta di plasmare a proprio piacimento Pozzetto/Andrea, dandogli lezioni di portamento, imponendogli una tintura di capelli da “macho-nazista” («ho creato il primo esempio in Europa di ambiguo virile») e tentando di far venire allo scoperto il suo lato frou-frou latente. Ma non è lui a incarnare la minaccia gender, bensì una collega di Franca, l'esotica e queer Jacqueline (Eleonora Grippo), che può innamorarsi indifferentemente di uomini, donne e cammelli, come insinua un Pozzetto mai così bigotto e bi-fobico.

Tra l'Architetto Persichetti, omosessuale vecchio stile e tutto d'un pezzo, e la polimorfa Jacqueline, appare subito chiaro che il pericolo maggiore arriva da quest'ultima, femme fatale discreta che tenta di suggestionare Franca con mezzucci quali comparazioni di seni e discorsi apolegetici sul pansessualismo. È l'ambiguità che spaventa, e infatti è a Jacqueline che Pozzetto riserva le frasi più severe e moraliste, mentre «come le antiche servette d'un tempo, e come spesso accade nei suoi film, deve anche fronteggiare con sdegnata bonarietà le molestie del gay di turno»(come scrive Bruno Ventavoli nella biografia di Steno, Al diavolo la celebrità).

Il Persichetti e Jacqueline scortano Andrea e Franca attraverso i vari stadi della decadenza e della dissoluzione del focolare domestico. Per prima cosa, la coppia (in fase di scoppio) visita il figlio Mariolino in un collegio svizzero, “traumatizzandolo” con un abbigliamento poco consono (nessuno pensa ai bambini!): Andrea si presenta con uno yorkshire infiocchettato e una mise a metà tra Flash Gordon e Cicciobello, ovviamente su istigazione del Persichetti; Franca invece appare con un taglio “alla maschietto” e un gessato alla Gary Cooper, naturalmente su suggerimento di Jacqueline.

Più tardi Andrea e Franca si ritroveranno in un locale notturno frequentato da “cozze e invertebrati”, dove i cattivi (Persichetti e Jacqueline) giocheranno senza successo le loro ultime carte. Dopodiché l'insistente uranista Persichetti rimarrà a bocca asciutta dopo aver tentato di agganciare Andrea sotto la doccia, mentre Jacqueline si consolerà con l'irsuto gigolò della Contessa Irene.

Andrea si licenzia e diventa paurosamente ricco vendendo le case galleggianti di sua invenzione e così sua moglie – per sicurezza – non avrà più bisogno di lavorare: la famiglia tradizionale trionfa, con un abile compromesso tra conservatorismo e consumismo. Sono gli anni Ottanta, bellezza...

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