L'uccello dalle piume di cristallo

29 agosto 2012

Al suo primo giallo, Argento inaugura subito in modo particolarmente convincente il suo stile peculiare nel panorama italiano del genere, fatto di indizi imperscrutabili, traumi infantili, psicopatologie derivate dal modello hitchcockiano di Psycho e un gusto tutto particolare per le macchiette, come quella dell’informatore romano, del pittore naif e del gallerista omosessuale.

Quest’ultimo non è che il primo di una lunga serie di personaggi gay stereotipati che affollano i primi film del regista e non gli manca nulla della peggior tradizione dei luoghi comuni. Anzitutto è effeminato, di modo che tutto sia chiaro senza bisogno di dire nulla. Poi è pettegolo nei confronti dei suoi stessi “pari”, tanto che si compiace di rivelare il lesbismo della sua impiegata che è stata uccisa: «Era un po’ particolare… capisce? La gente diceva… che preferiva le donne! Non che me ne importasse! Non sono razzista io! Tutt’altro!». Infine, ovviamente è erotomane: di fronte al bel protagonista che indaga sugli omicidi si scioglie e gli concede tutto, mangiandoselo insieme con gli occhi e continuando ad avvicinarsi a lui, inseguendolo per tutto il negozio per cercare un contatto quale che sia, mentre la sua “vittima” si ritrae senza scandalo ma con evidenti momenti di panico.

Siccome poi ovviamente l’assassino è ritratto come uno psicotico con problemi sessuali, all’ispettore che indaga sul caso pare che non ci sia «nulla di strano che un tale maniaco sia un pervertito sessuale», e quindi sottopone il nostro giovanotto, che è anche l’unico testimone di uno degli omicidi (tra l’altro non riuscito), a un confronto con una serie di esemplari che sembrano usciti da una lettura svogliata di Krafft-Ebing: un sadomasochista, un esibizionista, un «sodomita» (sic), un colpevole di «corruzione di minorenni» (non si specifica di che sesso) e un tale Luigi detto Ursula Andress. Qui l’ispettore sbotta: «Ursula Andress va nel gruppo dei travestiti, non dei pervertiti!», nel quale evidentemente il “sodomita” è invece al suo posto. E il ventiseienne Ursula si sfoga: «Lo credo bene, tra questi porconi!». Gag per l’italiota medio allevato dalla stampa dell’epoca, indenne da ogni rivoluzione sessuale e ancora trasversalmente “razzista” (per usare le parole dell’antiquario), come dimostrò quello stesso anno il caso del piccolo Lavorini.

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