Maschere, emancipazione e gayezza nel tascabile più famoso d’Italia

1 settembre 2012

Si dice che Angela Giussani abbia ideato il tascabile Diabolik nel 1962 osservando i pendolari a Milano, in piazzale Cadorna. La si immagina alla finestra guardar giù e figurarsi tutti quei signori e signore in soprabito sedersi un po’ stanchi ma beneducati, in fila sui seggiolini, e sfoderato il futuro Diabolik, immergersi nei minuti necessari di viaggio, perfetti per la lettura dell’episodio. Ognuno col suo furto, con la propria mente criminale imbattibile, con il bottino nascosto in una grotta blindata e, soprattutto, con maschere perfette.

Ognuno con le sua maschera borghese, mentre cede il passo a una signora uscendo dal vagone, mentre sorride al giornalaio, quando schiva l’edizione quotidiana del giornale della sera, con le veline e le prediche democristiane, e si prende invece il nuovo Diabolik.

Diabolik ha rappresentato l’anti-uomo mascherato per eccellenza, poiché la sua tuta mimetica notturna, tutta nera, lasciava scoperti proprio gli occhi, come se gli occhi, specchio di verità e di rintracciabilità, volessero sprezzantemente mostrarsi al mondo come quelli di un demone.
Sarebbe facile dire che le sorelle Giussani lo volevano così a causa della noia del mondo borghese in cui vivevano. Ma loro non si annoiavano: Angela prese giovanissima il brevetto di pilota d’aereo, Luciana lavorava ed era single senza farsi problemi. Erano belle, emancipate, intelligenti … allora si diceva “moderne”. Semplicemente la loro è stata un’ ironica ribellione agli schemi sociali che percepivano. Significativa la dichiarazione di Angela durante un’intervista nella quale le si chiedeva se si immedesimava col personaggio, “Diabolik è un lavoro”, risponde, e in quella risposta si capisce la grande importanza data da questa donna all’emancipazione femminile tramite il lavoro.
Nel 1974, in “Un amore nuovo” è Eva che se ne va dal suo compagno, da donna libera, non sopportando più certi atteggiamenti, e Diabolik ammette “è difficile per un uomo accettare l’idea che una donna non è inferiore a lui”. Mentre la visione delle autrici si evolve, storie di incontri casuali con piccoli “fuorilegge”, con persone coinvolte in intrighi e bisognose di aiuto, svelano sempre più col tempo l’animo di un “eroe” che non tollera la doppiezza e la meschinità, e “smaschera” con la vendetta chi oltraggia gli altri e si mette sul suo cammino.
Così come nella storia della pittura, le prospettive si rendono più complesse, Diabolik ha compiuto la sua evoluzione da trucido elegante che punisce e uccide senza farsi troppi problemi, a ladro tecnologico che uccide solo se strettamente necessario, a vendicatore occasionale sì, ma solo nei confronti di persone veramente indegne: ricchi notai che in realtà gestiscono traffici di eroina, persone insospettabili che invece si rivelano sordide e prive di scrupoli. Come i due chirurghi di “Non si sfugge a Diabolik”,del 1979, che fingono di curare chi viene arrestato e portato in ospedale ma in realtà ne impediscono la guarigione.

Un fumetto “d’evasione” quindi ma con una marcia in più: il fascino delle “maschere”, che molti hanno ricondotto a “Fantomas” ma che in realtà Angela Giussani ha ripensato e re-inventato praticamente da nuovo. La maschera è stata la ragione per cui Diabolik ha sempre unito in una schiera di fedeli ammiratori gay e lesbiche, adulteri e adultere, adolescenti: tutte quelle categorie di persone che dovevano (e tutt’ora devono) inventarsi di tutto, per sfuggire ai ruoli ed al giudizio delle persone. Una voglia di essere se stessi e di vivere liberamente viene celebrata con l’invenzione di questo escamotage: vivere celati e nascosti in mezzo alla gente, per poi amarsi ed essere se stessi, quasi al di sopra di tutti gli altri seppur sempre esposti al pericolo … in casa propria, il “rifugio”.
Col passare del tempo il fumetto è diventato testimone di molte battaglie civili e propositore di temi assolutamente legati al sociale; tra un furto ed un altro, ogni tanto Diabolik colpiva per il suo coraggio di fumetto impegnato. Un esempio fra tutti il numero 2 del 1985, in piena bagarre anti-aborto: si intitolava “L’ultimo della lista” e raccontava di una madre che vede la figlia morire di aborto clandestino a causa del comportamento di un uomo e di un padre ricchi e privi di scrupoli. Il fumetto mostra la donna ammazzare a freddo tutti coloro che sono stati coinvolti nel fatto: dal figlio viziato, al padre tronfio e ammanicato, al medico compiacente, all’infermiera avida e connivente. Già con altri numeri, come in occasione della battaglia referendaria per il divorzio nel 1974, le sorelle Giussani si erano schierate apertamente (per il divorzio con una pagina apposita a fine numero) ormai avvezze a combattere contro la censura di giudici bacchettoni (per anni gli sequestrarono i numeri in edicola), i giudizi degli intellettuali snob (critici un tempo verso ogni forma d’arte popolare) e gli psicologi da strapazzo che imputavano al loro fumetto l’incitazione a delinquere.
L’icona della coppia Diabolik-Eva Kant si è espressa come paradigma di tutte le unioni d’amore, nelle quali la fedeltà è adamantina, inscalfibile, ma è caratterizzata proprio dall’assenza del sacro vincolo del matrimonio, assenza-scandalo i perbenisti negli anni ’60 e ’70, e corroborata ironicamente dal continuo cambiare volto, abitudini, casa, scenari.

Se negli anni quindi la crudeltà di Diabolik è diminuita lasciando più spazio alla razionalità, quel simbolo di legame tra i due ribelli individualisti, Diabolik ed Eva Kant, l’amore passionale, esclusivo ma non matrimoniale, è rimasto inscalfibile.
Scomparsa anche Luciana, gli autori (sceneggiatrice una donna, Patricia Martinelli), danno alla luce una storia d’un amore romantico ed esclusivo, a non lieto fine, con protagonista un maturo uomo gay, e pubblicano addirittura a fine storia una pagina nella quale ricordano quanto Luciana tenesse a pubblicare una storia pro-gay, a testimonianza della simpatia di “Diabolik” per la causa dei diritti civili. L’episodio, “Il segreto della rocca”, edito come primo numero del 2007, vede una storia classica di ricatto e omicidio, ma lancia dalla sceneggiatura stoccate emblematiche: i persecutori del vecchio “amico” di Diabolik, che si svela gay, sono una cricca di pezzi grossi del mondo politico chiamata “La società dei probi”, che sono “contro l’aborto, le unioni di fatto, un certo tipo di ricerca scientifica, la procreazione assistita. Ovviamente contro l’omosessualità …”. Dopo aver definito “idioti” i benpensanti anti-gay in genere, il numero svolge un finale purtroppo tragico, segnale della incapacità della società, popolata da politici maneggioni e sordidi, di accogliere la diversità.

Il numero sarebbe piaciuto a Luciana Giussani, una donna che al pari di sua sorella, è stata capace di porsi contro ogni stereotipo finché ha potuto, con pochissimi scivoloni in decine di anni di storie, ed una apertura alla società notevole: la redazione di Diabolik ha letto, vagliato, e pagato per anni le sceneggiature proposte dai lettori. La redazione di Diabolik, del resto, porta ancora oggi la testimonianza di come le sorelle Giussani andassero controcorrente: Mario Gomboli, l’attuale direttore generale, ha ricevuto da loro infatti una specie di lascito: poté acquisire la testata a prezzo d’occasione, come fosse un’ eredità lasciata a colui che evidentemente Angela e Luciana avevano deciso di “adottare”. Loro due, disposte a lavorare 18 ore al giorno e a presentarsi poi con una parrucca il mattino dopo per essere perfette come la Kant, figuriamoci, belle com’erano, restano una vera, civile e creativa … unione di fatto.

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