recensione di Mauro Giori
La sorella di Ursula
Se i gialli all'italiana sono pieni di spogliamenti pretestuosi e di scenette erotiche pruriginose, fin dal titolo ammiccante La sorella di Ursula spinge il confine al suo limite estremo e si presenta a tutti gli effetti come un porno soft, con un trama gialla puramente funzionale all'esigenza di mostrare nudi generosi per quantità e integralità. A occhio, del suo budget il reparto costumi deve avere speso sì e no cinquecento lire.
Ora, quale modo più semplice, per confezionare un giallo erotico, che riciclare il solito assassino psicopatico alla Psycho? Si tratta solo di trovare una variazione. E se non viene in mente niente, non c'è che da guardarsi intorno: il successo de La donna della domenica (1972) di Fruttero e Lucentini, portato sullo schermo da Comencini un paio di anni prima, potrebbe ad esempio suggerire un'arma originale per i delitti, nella forma di un dildo di legno finemente lavorato.
Gli autori qui vanno anche un pochino oltre, e per comprendere il risultato serve poco l'immancabile psichiatra che si incarica di offrire lumi sul caso, anche perché sulla laurea di quello che ci viene propinato qui avrei qualche dubbio. Basti dire che la sua visita alla paziente consiste in due domande: «Quanti anni ha?» e «Sta bene adesso?».
Per chi voglia meglio orientarsi, sintetizzo di seguito il caso della bella Ursula.
Anzitutto, l'anamnesi famigliare:
1) padre impotente per depressione;
2) madre con tante esigenze, poche inibizioni, amanti di vario sesso;
3) separazione non consensuale: lei fugge con un amante piantando tutta la famiglia.
E ora il referto:
1) trattasi di fanciulla edipica perdutamente innamorata del padre;
2) la giovane fu traumatizzata in un'età non definita da una scena primaria con inconsueta variazione lesbo: avrebbe infatti visto il papà scoprire la mamma a letto con una non meglio identificata giovine donna;
3) sussiste il dubbio che la procace Ursula, non possedendo solo esuberanti doti fisiche ma anche psichiche (oltreché visionaria, è pure preveggente), si sia immaginata tutto, ma è noto che per Freud poco conta;
4) morto il padre, la formosa Ursula aggiunge al suo repertorio una psicosi sessuofoba completa di sdoppiamento di personalità e travestitismo.
Risultato pratico: la prosperosa Ursula, non avendo mai superato l'Edipo, durante le sue crisi cerca repliche della scena primaria per vendicare la virilità offesa del padre e uccidere compulsivamente la madre rivale e un poco baldracca. Date le premesse, lo svolgimento delle crisi non è molto pratico. La fanciulla deve infatti viaggiare con gli abiti del padre in valigia. Quando crisi la coglie, li indossa, assume la personalità del genitore tanto amato, cerca una coppia in amore o ne crea una (pagando una donna disponibile perché si procuri un amante), osserva il tutto di nascosto (perché lo spettatore possa fare altrettanto) e a intrattenimento terminato impugna il dildo di legno e si accanisce sulla donna, proprio lì… L'eventuale maschio di turno viene invece preliminarmente eliminato con un coltello.
L'unico omicidio che svicoli da questo schema è quello della lesbica Jenny. Avendo la fiorente Ursula un contenzioso aperto con le discendenti di Saffo (si veda sopra, al punto 2 del referto), assale Jenny senza aspettare che si intrattenga con la sua amante (con la quale ha solo il tempo di scambiare qualche parola lascivetta al telefono, ovviamente mentre se ne sta distesa sul letto con tutto, ma proprio tutto, al vento). Il fatto è che l'amante di Jenny è anche la proprietaria dell'albergo, in procinto di lasciare il marito per la giovane in questione. Evidentemente la situazione ricorda all'instabile Ursula il suo passato (si veda il punto 2 dell'anamnesi famigliare), sicché la donna in questo caso non ha bisogno di stimoli voyeuristici per scatenare la sua furia.
Lo stesso dicasi per la prosperosa sorella di Ursula, che avrebbe dovuto essere la sua ultima vittima: per non aggiungere un incesto troppo esplicito a tanto caos famigliare, Ursula la assale nelle vesti del padre senza aspettare di poterla spiare, anche se era pronta (leggi in tenuta adamitica) a concedersi al bel Marc Porel, che dell'intero cast è così l'unico a non avere l'occasione di spogliarsi. Ma compensare l'ingiusta parzialità degli autori, che per le loro attrici non conoscono la sottile arte dell'allusione, non è difficile: Porel aveva infatti già mostrato generosamente tutto sotto la guida di Visconti, per il quale era stato il bel valletto Hornig in Ludwig e lo scrittore D'Arborio in L'innocente.
Alla fine, di tanta arte lo spettatore non mancherà di apprezzare in particolare la struttura squinternata del racconto, la sceneggiatura farneticante e la recitazione da oratorio. Eppure, qua e là Milioni (chi era costui?) cerca persino di prendersi sul serio.