More Dirty Looks

27 ottobre 2004

Il British Film Institute ripubblica una raccolta di studi sul cinema pornografico, già edita nel 1993 con il titolo Dirty Looks, alla quale sono stati aggiunti una decina di nuovi saggi. Tre dei saggi della raccolta riguardano il porno gay.


Il primo è già stato più volte ristampato ed è un piccolo "classico" sull'argomento. Si tratta di Idol Thoughts: orgasm and self-reflexivity in gay pornography di Richard Dyer.

Con l'intelligenza, la precisione e la competenza che gli sono proprie, Dyer analizza un aspetto del porno gay ricco di implicazioni: il piacere che la sua "auto-riflessività" esercita sugli spettatori. In parole povere, per lo spettatore di film porno personaggio e attore hanno lo stesso potenziale eccitante, ovvero l'eccitamento si può generare sia pensando al dato finzionale (Gino incontra Paolo al supermercato e i due finiscono a letto insieme) sia pensando al dato reale (gli attori Giuseppe e Orlando fanno sesso davanti a una macchina da presa e a una troupe, fingendo di essere rispettivamente Gino e Paolo che si incontrano al supermercato e finiscono a letto insieme).

Dyer si concentra sul caso del pornodivo Ryan Idol per argomentare la sua tesi, che si fa più debole dove, sulla base della autoriflessività, cerca di stabilire una differenza sostanziale tra porno gay e etero, perché la cultura gay sarebbe in sé tipicamente autoreferenziale (tesi che ha anche un suo senso: pensiamo al caso del camp).

Certamente il porno gay (rispetto a quello etero) pone sul tappeto delle questioni del tutto specifiche nel momento in cui si analizza il rapporto tra spettatore e personaggio/attore, se non altro perché lo spettatore di porno etero si trova di fronte due corpi di sesso diverso, che implicano dinamiche di identificazione/eccitamento differenziate, mentre lo spettatore di porno gay ha a che fare con due corpi dello stesso sesso, che possono implicare dinamiche di identificazione e di eccitamento simultanee e sovrapposte, anziché distinte e nettamente separate. Ma l'autoriflessività non mi sembra una caratteristica fondamentale del porno gay, bensì del porno in generale, e andrebbe più utilmente ricollegata a una sua peculiare natura estetica, che si fonda (fin dalle origini del genere) più sull'esibizione che non sulla necessità di raccontare e quindi di assorbire lo spettatore nel mondo della finzione narrata.


Il secondo saggio, di Restivo e Cante, è dedicato al porno gay "transnazionale", e in particolare alla produzione di Kristen Bjorn.

Dirò subito che si tratta di un saggio per masochisti. No, non sul masochismo, ma proprio per masochisti: se da piccoli avete subito qualche trauma che si traduce oggi in un'attrazione smodata per la "sofferenza letteraria", se la mamma invece delle favole vi leggeva Tacito per farvi addormentare, se avete imparato a leggere su Contini anziché sui fumetti di Batman, allora questo è il saggio che fa per voi.

In un tripudio di evitabilissimo accademismo masturbatorio (giusto per rimanere in tema), Restivo e Cante esibiscono tutti gli strumenti della tortura letteraria, lucidati a festa, tra cui: proposizioni di quindici righe in media; un tasso di circa il 50% di parole virgolettate, costrette a significare altro da ciò per cui sono state inventate; concetti sottintesi in numero rigorosamente superiore a quelli espressi.

Qui il gioco non vale la candela, perché l'idea di base non è poi così rivoluzionaria, e gli spunti più interessanti non vengono sviluppati.

Per evitare al lettore non masochista una sofferenza inutile, sveliamo l'arcano, che in tutta semplicità si può così esprimere: nel porno "transnazionale" (cioè nel porno in cui si accoppiano maschioni di nazionalità diverse) si assisterebbe a un inevitabile slittamento del concetto di identità sessuale, che complica la possibilità di distinguere tra maschioni etero e maschioni gay. Questo perché se uno statunitense finisce a letto con un brasiliano, e magari ai due si aggiunge un tailandese, dal momento che i tre fortunati provengono da realtà socio-politiche molto diverse, il concetto di identità gay avrà per loro significati diversi, e quindi non si può usarlo in senso assoluto.

Ma in effetti il porno gay degli ultimi vent'anni almeno gioca spessissimo con l'ambiguità dell'identità sessuale dei partecipanti, normalmente lasciata sottintesa, sicché la "sessualità utopica" che, secondo gli autori, Bjorn assocerebbe ai maschi "del Terzo Mondo e del mondo post-comunista" (p.124) non è un'esclusiva del porno transnazionale. Sull'idea del porno come spazio utopico e a-politico si può ricamare facilmente anche riferendosi al porno più tradizionale.


Il terzo saggio, di Royce Mahawatte, è dedicato invece al feticismo nei confronti del maschio arabo (ricorrente soprattutto nel porno gay francese, da Cadinot in avanti), con particolare attenzione per la produzione della JNRC e per un forum di appassionati del maschio nordafricano.

Dopo una breve parentesi storica, Mahawatte salta al porno contemporaneo, facendo anche considerazioni sull'evoluzione subita da questa particolare forma di "feticismo razziale" in rapporto all'arabofobia post-11 settembre. Mahawatte sostiene che il feticismo nei confronti del maschio arabo si basa su una visione non molto lontana da quella propagandata dall'antropologia dell'800, che connotava l'arabo come invariabilmente iperattivo sessualmente, spesso dedito a pratiche sodomitiche, e ipervirile (anche in termini di dotazione fisica). Sarebbe proprio questa visione del maschio arabo, sostiene Mahawatte, ad affascinare i maschietti occidentali fissati con il maschio nordafricano, che con esso proverebbero il brivido del contatto con l'altro e con una (iper)virilità ormai non più reperibile nell'occidente (conclusione che avrebbe necessitato di maggiore sviluppo, poiché espressa in termini così assoluti suona troppo riduttiva e semplicistica).

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