recensione diMauro Giori
The last of England
Costruito con la disomogeneità e la varietà di stili e formati propria del cinema della neoavanguardia (colore e bianco e nero, 35 mm e super 8, inquadrature fisse e macchina a mano, deformazioni ottiche, accellerati, rallentati, ecc.), e con un occhio alla poesia beat, The Last of England è probabilmente il film più cupo e pessimista di Jarman.
Privo di un intreccio vero e proprio, il film descrive un presente degradato, messo in contrasto con un passato - quello dell'infanzia - più spensierato, e con un futuro ancora più cupo e decisamente apocalittico.
L'intento di Jarman è quello di prendere posizione contro la guerra delle Falkland, e lo fa descrivendo un paese alla deriva, un'Inghilterra fatiscente preda di quello che sembra un regime militare che si accanisce contro giovani sbandati che passano il tempo a drogarsi e a girovagare per periferie desolate.
Non mancano qua e là le provocazioni camp, ma il film è più controllato di altri del regista. La scena più provocatoria - e una delle più memorabili di tutto il cinema di Jarman - è affidata a un ragazzo che, prima dell'esecuzione, sveglia il suo carnefice ubriaco e lo coinvolge in un rapporto sessuale su un'enorme bandiera inglese.
Al contrario di altri film di Jarman, The Last of England non concede speranze. Il narratore, pur laconico, è perentorio: "E il domani? Il domani è stato abolito per mancanza di interesse".