Amore mi faccia vivendo penar

6 aprile 2013

Le differenze culturali tra noi e gli americani, come quelle tra i diversi popoli europei, si colgono soprattutto dai dettagli minori. Si ha un bel dire che siamo tutti occidentali. Prendiamo, tanto per fare un esempio, un ragazzo italiano che mezzo secolo fa avesse scoperto d'essere superdotato: oltre ad insuperbirne, l'avrebbe fatto accortamente sapere in giro, per poi gustarsi gli sguardi in tralice di malcelata invidia e ammirazione che gli sarebbero arrivati mentre a testa alta e petto in fuori si faceva la sua tranquilla passeggiata da casa al caffè in piazza e ritorno. Un ragazzo wasp del Midwest nello stesso torno di tempo una scoperta del genere lo gettava in ambasce: e se all'altra persona fa male? Senza dire che è qualcosa di estraneo, anzi, di superiore alla norma; e il sano cittadino americano, per il quale la democrazia costituisce una religione, ha in sospetto l'uscire dalla norma, l'emergere, l'essere un caso speciale, fosse pure per una specialità dopotutto normalmente occulta: tantum religio potuit suadere malorum.
Il romanzo di Edmund White, prontamente tradotto in italiano a brevissima distanza dall'uscita in patria, ha per protagonista un ragazzo di nome Jack Holmes che è proprio così: lo angoscia quasi più essere superdotato che essere gay; anche perché nel comprendere il suo orientamento sessuale appare notevolmente tardigrado. Ci arriva un po' in fretta solo dopo il trasferimento a New York: e qua il lettore affezionato di Edmund White già pensa: "Nooo! Ancora un romanzo di Edmund White con l'ingenuo ragazzotto gay e medioborghese del Midwest che intorno al 1960 si trasferisce a New York, acquista consapevolezza, trova uomini come se piovesse, s'innamora, poi arrivano Stonewall, l'AIDS, il riflusso, l'elaborazione del lutto, eccetera!"; ché, riconosciamolo pure!, White ha sfruttato questo tema fino all'osso, benché in modo molto intelligente e traendone anche grandi libri.
In realtà però il tema qui c'è, ma in sottofondo. Per creare un filtro rispetto a una materia già sfruttata e notevolmente autobiografica, l'autore usa la terza persona nella prima e nella terza parte del romanzo, dove il protagonista è appunto Jack Holmes; soltanto la parte centrale è raccontata in prima persona, ma da Will, l'amico di Jack, che è eterosessuale: rispetto a gran parte delle precedenti opere di White, perciò, il tono è qui più distaccato. Anche la storia americana, sia quella politica sia quella dei costumi, fa ingresso nelle vicende a mo' di eco distante, e l'interesse rimane perciò in prevalenza psicologico e intimistico. La scelta, con ogni probabilità, era obbligata: con una maggior adesione personale si prospettava il rischio di riscrivere libri già scritti, di comporre l'ennesima variazione sul tema; tuttavia questa relativa presa di distanza dello scrittore dalla materia narrata raffredda in certi passi anche la scrittura. Perfino i due protagonisti risultano alla fine due individui un po' scialbi e indefinibili: ma è White a volerli così, proprio per gettare uno sguardo sull’evoluzione dell’etica privata e degli stili di vita nella New York degli anni Sessanta e Settanta seguendo le vicende di due uomini per nulla speciali, un gay e un etero come tanti. Se il tono un po’ remoto, ovattato e stanco rende il romanzo meno poetico della Sinfonia dell’addio o dell’Uomo sposato, White rimane anche qui ad ogni modo un narratore di razza, e la sua prosa non manca mai di mantenere quella scorrevolezza e quella piacevolezza che la rendono sempre accattivante e mai noiosa. Non si tratta, insomma, di uno dei migliori romanzi di White, ma d’un buon romanzo senz’altro.
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