recensione diMassimo Basili
Banana Fish 1
E’ un racconto di J.D.Salinger, l’autore de Il giovane Holden, ad ispirare il curioso titolo di questa serie a fumetti: Un giorno ideale per i pescibanana.
Uscito in Giappone nel 1984, dal novembre 2002 Banana Fish è arrivato finalmente anche in Italia, pubblicato dalla benemerita Planet Manga, che già ci aveva deliziato qualche anno fa col godibile New York New York.
Come in quello, anche le vicende di questo fumetto sono ambientate a New York, e i protagonisti sono aitanti giovanotti alle prese con intrecci polizieschi. Ma le affinità di Banana Fish col suo predecessore finiscono qui, soprattutto per lo stile del racconto. L’autrice Akimi Yoshida, infatti, ci propone una curiosa mescolanza di azione, thriller e soap-opera, nella quale la presenza di personaggi gay viene data per scontata, e dove l’omosessualità del protagonista non è causa di drammi esistenziali.
Ash, diciassettenne capo di una gang di quartiere, bello, spavaldo e dal passato burrascoso, si scontra col mafioso Papa Dino, col quale ha avuto in passato una relazione, per venire in possesso di una misteriosa sostanza allucinogena, chiamata Banana Fish. Nella vicenda vengono coinvolti due reporter giapponesi, arrivati negli States per un’inchiesta sulle bande giovanili: uno di questi, il timido e complessato Eiji, si lascia ben presto affascinare dal giovane Ash, decidendo cosi di seguirlo in un rocambolesco viaggio da costa a costa.
Sembrerebbe l’ennesima storia d’amore melensa tra l’efebo biondo e quello moro, come in centinaia di altri manga del genere shonen-ai (amori maschili)… Banana Fish sfugge invece a classificazioni di ogni genere: lo spazio dedicato alle vicende sentimentali viene compensato dall’attenzione all’intreccio avventuroso, che non risparmia sparatorie, inseguimenti e scazzottate. Anche la narrazione procede in maniera asciutta, senza gli psicodrammi e le stucchevolezze floreali ai quali ci hanno abituato certe autrici nipponiche. La compattezza di tavole e vignette rende poi questo fumetto particolarmente consigliato a chi ha poca simpatia per l’”indisciplinato” linguaggio dei manga.
Uniche pecche, il disegno un po’ legnoso e alcune ingenuità nei dialoghi, soprattutto nel tentativo della Yoshida di riprodurre lo slang delle bande giovanili americane.